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Carla Fracci, un mito sulle punte

Autore: a cura del dott. Carlo Alfaro | Pubblicato Dicembre 2020 in Attualità

Vedere danzare Carla Fracci significa capire appieno la frase di Alexandre Tairoff, l’attore teatrale, regista e critico russo, quando disse “La danza comincia ove la parola si arresta”, perché la danza è il miracolo del corpo che parla con l’infinito superando la finitezza dell’umanità. Carla Fracci, nata a Milano il 20 agosto 1936, incarna il mito della danza italiana nel mondo ed è universalmente considerata come una delle più grandi ballerine del ‘900: la “prima ballerina assoluta” la definì il New York Times nel 1981.
Figlia di un tranviere dell’ATM (Azienda Trasporti Milanesi), varcò le porte della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala a 10 anni, su suggerimento di un amico di famiglia, professore d’orchestra del prestigioso teatro milanese, che casualmente l’aveva vista ballare il valzer, quando allietava gli amici del padre danzando per loro, riconoscendo in lei un senso della musica così particolare che ne caldeggiò la partecipazione alle audizioni. La scuola era gratuita e i genitori acconsentirono, altrimenti non se la sarebbero potuta permettere: con la guerra mondiale erano stati sfollati a Gazzolo degli Ippoliti, in provincia di Mantova, quindi a Cremona, il padre era scampato alla campagna in Russia, e la piccola Carla aveva conosciuto le ristrettezze e la frugalità della vita agreste, per poi trasferirsi in una casa popolare a Milano, quattro persone in due stanze.
Lei non era conscia del suo raro talento: ammette che, a differenza di tante bambine, non aveva mai realmente sognato di fare la ballerina: ambiva piuttosto a diventare parrucchiera! Solo col senno di poi ha capito che era già votata alla danza: “A distanza di anni di lavoro, sono sicura che ci debba essere qualcosa di innato che conduca a fare la ballerina”. L’audizione non andò benissimo: la direttrice, famosa per la sua severità, Ettorina Mazzucchelli, voleva quasi scartarla perché troppo debole ed esile, poi, colpita soprattutto dalla dolcezza del suo viso, la inserì nel gruppo delle ballerine “da rivedere”: “è troppo fragile, ma ha un bel faccino”, disse. Inizialmente, l’accademia fu vissuta come una costrizione dalla ragazza, per le ore estenuanti di studio che le facevano apparire il teatro e la scuola come una prigione, mentre lei, distratta, svogliata, pensava con nostalgia ai giochi e alla libertà della campagna.
Ma a 11 anni Carla ebbe una parte da comparsa ne “La Bella Addormentata” e restò come folgorata dalla grandezza del talento della splendida Aurora Margot Fonteyn, e da allora, prendendola ad esempio da imitare, capì che aveva incontrato esattamente il suo destino, e lo studio, il sacrificio e la disciplina diventarono compagni di vita per conseguire l’eccellenza.
A 18 anni, nel 1954, conseguì il diploma. L’anno dopo, il grande debutto nella “Cenerentola” in scena al Teatro alla Scala, il 31 dicembre 1955, e da quel momento iniziò la sua straordinaria carriera, in cui ha messo tutte le sue grandi qualità: “La danza è una carriera misteriosa, che rappresenta un mondo imprevedibile ed imprendibile. Le qualità necessarie sono tante. Non basta soltanto il talento, è necessario affiancare alla grande vocazione, la tenacia, la determinazione, la disciplina, la costanza”, ha spiegato poi. La sua formazione artistica si perfezionò dopo il diploma con la partecipazione a stage avanzati a Londra, Parigi e New York. Frequentò anche i corsi della grande coreografa russa Vera Volkova, che l’aveva avuta come allieva alla Scala di Milano e, nominata direttrice della scuola di ballo a Copenaghen, le chiese di seguirla per proseguire con lei i suoi studi.
A soli due anni dal diploma, appena ventenne, venne promossa “solista” e a 22 anni, nel 1958, divenne “prima ballerina”, interpretando, quello stesso anno, col coreografo John Cranko, il ruolo di “Giulietta” alla Fenice di Venezia. Da allora cominciarono a susseguirsi continue apparizioni e ruoli in molte produzioni e teatri, anche in compagnie straniere.
Nella sua carriera ha interpretato più di 200 ruoli: “Non mi sono fermata ai personaggi che gli altri pensavano fossero giusti per me. Un artista deve saper entrare in mille vite”, ha dichiarato in un’intervista. Nel 1959, a soli 23 anni, interpretò a Londra al Royal Festival Hall per la prima volta, tra le ovazioni del pubblico, il romantico ruolo di “Giselle”, cui ha legato inscindibilmente il suo nome per la straordinaria sensibilità e tensione drammatica con cui la ha rappresentata in tutta la sua carriera.
Dalla sua Giselle, danzata magistralmente con Erik Bruhn, venne tratto un film di successo nel 1969. A 26 anni, nel 1962, sposò l’unico amore della sua vita, Giuseppe Menegatti, “uomo di teatro, sensibile e geniale”, da cui nel 1968 nacque Francesco; il marito le ha fatto, oltre che da compagno di vita, da manager, regista e curatore di diverse opere da lei interpretate.
Perennemente vestita di bianco a partire dalla gravidanza, quale colore simbolo di “riservatezza e discrezione”, la Fracci resta icona assoluta dell’etera leggiadria, purezza e grazia del balletto classico. Di lei restano proverbiali la precisione e puntualità maniacali: era solita sempre arrivare in largo anticipo agli spettacoli, per concentrarsi e abbandonarsi totalmente alla musica, era sempre l’ultima ad andar via, oltre a dedicarsi al lavoro in ogni istante libero per raggiungere la perfezione tecnica.
Compagna sulla scena dei più famosi ballerini della sua epoca, nel 1963, a 27 anni, incontrò l’immenso Rudolf Nureyev, dando il via a uno straordinario sodalizio artistico, in cui furono colleghi, complici, amici. Di lui ricorda: “Rudolf Nureyev è stato un grande ballerino e coreografo e anche una persona molto difficile. Poteva anche essere terribile non a caso più volte, in scena, è stato scorretto con chi danzava con lui. Per me ha avuto sempre un grande rispetto, in scena sentiva la mia collaborazione, mi ha sempre riconosciuto una forza”.
Nella sua carriera, la Fracci ha danzato sia il repertorio classico e tradizionale che le opere contemporanee, associando sempre memoria del passato e volontà di innovazione: “Ballare il repertorio, certo, è stato importante ma, forse ancora di più, è stata significativa la mia capacità di rinnovarmi, di trovare nuovi personaggi da interpretare e proporre. Importante danzare in paesi piccoli e in teatri piccolissimi”, ha affermato. E’ stata la prima a portare il balletto fuori dai teatri, ispirata da un’idea “democratica” della danza: “Ho danzato in circostanze assurde, su un ring e su un palcoscenico cosparso di Coca-Cola per non scivolare, a Paestum al posto dei camerini ci si cambiava nelle cabine elettorali”, ha raccontato.
E’ sempre stata attenta al sociale, come quando si esibì davanti alle recluse del carcere di San Vittore a Milano. Nel 1982 in una produzione televisiva Rai sulla vita di Giuseppe Verdi interpretò la parte di Giuseppina Strepponi, soprano e seconda moglie del grande compositore; varie sono poi state, negli anni successivi, le sue incursioni nel mondo della recitazione.
A fine anni ’80 ricevette l’incarico di dirigere il Corpo di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli, nel ’96 la direzione del Corpo di Ballo dell’Arena di Verona, nel 2000 la direzione del Corpo di Ballo all’Opera di Roma.
Tanti i riconoscimenti e gli incarichi prestigiosi: Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana nel 1983, membro dell’Accademia delle Belle Arti di Brera nel 1994, presidenza dell’associazione ambientalista “Altritalia Ambiente” nel 1995, Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte nel 2000, Dama di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana nel 2003, Cavaliere di Gran Croce nel 2013, Ambasciatrice di buona volontà della FAO nel 2014, Ambasciatrice di Expo Milano nel 2015, Premio alla carriera del “Novara Dance Experience” nel 2019, Premio nazionale Toson d’oro di Vespasiano Gonzaga nel 2018, Premio alla carriera da parte del Senato della Repubblica Italiana il 19 settembre 2020. Nel 2009 è stata anche assessore alla Cultura della Provincia di Firenze.
Pur continuando a danzare anche dopo i 70 anni, in coreografie create dal marito appositamente per lei, ha maturato negli anni una forte vocazione di guida e insegnante per le generazioni future di danzatori, che ha difeso anche appellandosi direttamente nel 2012 all’allora presidente Napolitano e l’anno seguente a Laura Boldrini, presidente della Camera, per non sacrificare sotto la scure della crisi economica il mondo della lirica e del balletto classico.
Il premio Nobel alla poesia Eugenio Montale, suo carissimo amico, le ha dedicato versi meravigliosi: “La danzatrice stanca”, inserita nel “Diario del ‘71 e del ‘72”, uscito nel 1973. La lirica si ispira al momento della gravidanza della danzatrice. All’epoca il sommo poeta era critico musicale per il Corriere della Sera e frequentava la Scala di Milano per recensire opere e balletti. La ballerina viene descritta dal poeta come figura leggerissima, quasi eterea, che torna a ballare dopo essere diventata mamma.
Nel dicembre 2013 è uscita per Arnoldo Mondadori Editore la sua significativa autobiografia “Passo dopo passo” a cura di Enrico Rotelli.
Mi piace chiudere con la sua affermazione, un monito per tutti: “Se non si ha più rispetto per l’arte, non si ha più rispetto per se stessi”.


PS: dedico questo articolo alla mia amica di sempre, dall’adolescenza in poi, Floriana Cafiero, grande ballerina classica, che mi ha insegnato ad apprezzare e amare il mondo del balletto. E’ lei la “mia Fracci” personale!