UN GIALLO PER L’ESTATE: POESIE.COM
Con il caldo, sotto l’ombrellone, cosa c’è di meglio che rilassarsi leggendo un Giallo? E magari accettando la sfida dell’autore a scoprire il colpevole prima di arrivare alle fatidiche ultime pagine?
È questa la sfida che vi lancia Anna Coppola con il suo POESIE.COM.
Di cosa parla questo libro? Della prima indagine del commissario Ettore Peratto. In una Parma bellissima, ricoperta dal ghiaccio della galaverna, il burbero commissario deve farsi strada verso la verità tra troppi possibili colpevoli.
Amore, vendetta, denaro, tanti i motivi per uccidere:
Amore: la forte e indipendente Flavia Cretella non ne prova più, ma non riesce a liberarsi da una relazione ormai tossica.
Vendetta: Il professor De Dominicis, misterioso vicino di casa, nasconde un segreto.
Denaro: Dove è finito il flusso enorme di ricavi generato dal sito Poesie.com?
Con l’aiuto del marito architetto, Ciccio Balletta, Peratto, dovrà inoltrarsi nell’inferno che si nasconde nella parte più oscura della rete. Chi c’è dietro il sito Poesie.com?
Una donna indomabile e affascinante, un seduttore seriale.
Due amici uniti nel bene e, soprattutto, nel male…
Chi sta giocando a scacchi con la morte?
Venite a scoprirlo!
Su licenza di infugaEDIZIONI pubblichiamo un estratto del primo capitolo.
Messaggio in arrivo: Mia dolce Flavia, non dimenticare, aspetto la tua poesia e la foto… Bacio!
Flavia lesse il messaggio con fastidio. Nando insisteva ancora con questa richiesta un po’ assurda. Voleva che lei scrivesse una poesia, a mano, che parlasse di sentimenti, di quello che “aveva nel cuore” …con una foto di “quando era ancora innocente”. Una richiesta irragionevole e insistente che lo rendeva noioso.
Guardò l’orologio, le cinque, ora di chiudere la giornata di lavoro. Salvò il file su cui stava lavorando sul computer, una traduzione in inglese per un sito di una ditta di mobili,
si stiracchiò, allungando le braccia e inarcando la schiena. I suoi trentacinque anni cominciava a sentirli e non solo dopo essere stata seduta per troppe ore al computer. Era ora di prendere una boccata d’aria.
Indossò la giacca pesante, un cappello di lana e i guanti, fuori faceva un bel freddo asciutto, come piaceva a lei, erano quasi arrivati ai giorni della Merla, gli ultimi tre giorni di gennaio, e a Parma aveva nevicato fitto dalla mattina. Chiuse la porta e decise di scendere a piedi dal suo appartamento al sesto ed ultimo piano. Le piaceva molto vivere in quel palazzo costruito nei primi anni del Novecento, era piacevole appoggiare la mano sul legno lucido del corrimano della bella ringhiera di ferro, lavorata con un motivo floreale liberty, della scalinata che si snodava quasi con pigrizia fino al piano terra. E poi, era, anche, un buon sistema per cominciare a sciogliere i muscoli, senza contare che, così, avrebbe evitato di entrare nella cabina dell’ascensore che da qualche giorno le dava una sensazione di claustrofobia. Doveva essere a causa della puzza di fumo freddo che aveva cominciato improvvisamente ad aleggiare tra le strette pareti di legno lucido.
Discese velocemente i sei piani di scale e si ritrovò piena di energia fuori al portone del suo palazzo, di fronte al Lungo Torrente. A destra o a sinistra? A sinistra, decise d’istinto, verso parco Ducale.
Parma era ormai la sua città. L’aveva accolta con calore ma senza invadenza una quindicina di anni prima, quando, restata improvvisamente orfana, da Firenze, dove era nata, si era rifugiata dalla sua unica parente rimasta, la prozia Rosa.
Il cellulare cinguettò di nuovo interrompendo il flusso dei suoi pensieri, mentre camminando nelle strade della parte più antica della città, si lasciava trasportare nel passato. Sicuramente doveva essere un nuovo messaggio di Nando. Un bel ragazzo, questo l’aveva attratta subito, di dieci anni più giovane, quasi un “toy boy”… per lei avrebbe dovuto essere un incontro leggero, senza il peso dei sentimenti. Due adulti che si danno reciprocamente piacere. Non cercava altro, non voleva altro. Peccato che lui non la vedesse allo stesso modo…
Si specchiò in una vetrina mentre camminava a passo veloce per riscaldarsi e svuotare un poco la mente. Sicuramente dimostrava meno dei suoi anni, era stato sempre così. Da bambina la cosa l’aveva infastidita parecchio e anche da adolescente: I ragazzi che le piacevano la ignoravano e preferivano le amiche più formate, già donne. Sua madre la consolava:” I seni piccoli, sono più comodi, non ballonzolano quando corri, sono eleganti e si mantengono belli più a lungo…”. E infatti eccomi qui, pensò, continuando a guardare la sua immagine in movimento, sono sottile, elegante, elastica e non sfiguro al fianco di un ventenne. Il problema è nella testa. Non mi diverte più parlare con lui. All’inizio, ricordò, la faceva ridere tantissimo quando conversavano, perché aveva creduto che le opinioni e le idee che esprimeva fossero volutamente paradossali e ignoranti, ma poi si era resa conto che non era così e aveva cominciato ad annoiarsi e qualche volta perfino a vergognarsi per lui. A letto, naturalmente era un altro discorso. Sul piano fisico l’accordo era perfetto e avrebbe voluto limitare i loro incontri a quei weekend, pause di puro edonismo che sentiva di aver diritto di regalarsi. Ma a Nando non bastava, voleva incontrarla più spesso, a pranzo, a cena e magari passare la notte insieme a casa sua… La sola idea le dava un fastidio enorme.
La passeggiata l’aveva portata Oltretorrente, a Borgo San Giuseppe, dove si concentrava una parte della movida e dove si trovava lo Zanzibar, il locale dove Nando lavorava. Tanto valeva affrontare la situazione.
Nel bar, non molto grande, c’era un bel calduccio. Alle pareti poster della Tunisia e dei narghilè sui tavolini bassi della saletta riservata che, insieme alle candele accese in piccoli porta candela di ceramica bianca traforata, cercavano di creare un’atmosfera orientaleggiante.
Non c’erano clienti, troppo presto per l’aperitivo. Dietro il bancone, con le spalle verso la porta, Ahmed, il proprietario del bar e socio di Nando, stava pulendo con attenzione la macchina del caffè, l’aveva smontata e controllava i pezzi uno ad uno. “Ciao Ahmed, problemi?” - Si girò di scatto verso di lei. “Ah, sei tu. Non ti avevo sentito entrare. Nando ti cercava.” - Flavia gli sorrise, “Ed eccomi qui. Lui non c’è?” - “È uscito per una consegna. Siediti. Che ti porto?” Flavia guardò dubbiosa i cuscini bassi che circondavano i tavolini, sapeva quanto potevano essere scomodi, a meno di non sdraiarsi per terra sul tappeto. No, questa volta avrebbe scelto la comodità.” Prendo un Campari, Ahmed, grazie, ma qui al bancone perché non posso restare molto.” Lui le mise con attenzione un sottobicchiere davanti, e aggiunse un paio di ciotoline con olive e arachidi che aveva già pronte sotto il bancone, chissà da quanto tempo. Fortuna che non aveva fame… Il Campari era come piaceva a lei, senza troppo ghiaccio, del resto con quel freddo non se ne sentiva la necessità.
Tipo strano questo Ahmed. Era il miglior amico, oltre che socio di Nando. Erano stati compagni di scuola, praticamente da sempre, e avevano caratteri completamente diversi. Il Tunisino era timido, silenzioso, per quanto l’altro era estroverso e un po’ sbruffone. E poi, Ahmed, aveva notato, sembrava sempre preoccupato. Anche adesso, mentre la guardava di sottecchi, mentre asciugava i bicchieri, corrugava inconsciamente la fronte. Chissà a cosa stava pensando di così angoscioso? Era come se fosse continuamente in attesa di una notizia spiacevole.
“Beh, adesso vado. Per favore, dì a Nando che mi farò viva io, ma tra qualche giorno perché devo andare a Milano per lavoro.” Gli lasciò i soldi della consumazione sul bancone e fece per uscire- “Flavia!” - la richiamò lui- “non puoi aspettare ancora qualche minuto? Nando deve parlarti. Da quando lo conosco, non l’ho mai visto così…” – “Non ti preoccupare, capita a tutti nella vita... Gli passerà! “ Flavia lo guardò cercando di trasmettergli un po’ di tranquillità, ma vedeva bene che non le credeva. “Sono giovani”, pensò”, non sanno ancora che l’’amore non esiste veramente, è solo un illusione, una reazione biochimica, impareranno!”
Tornando finalmente a casa comprò un bel pezzo di focaccia che insieme al salame di felino, un bicchiere di lambrusco e alla rilettura di” Orgoglio e Pregiudizio” le avrebbe fatto raggiungere quello che per lei era il paradiso.
La stanchezza si faceva sentire, aveva fatto un lungo giro, e non vedeva l’ora di chiudersi la porta di casa alle spalle. Premette il pulsante dell’ascensore, stavolta valeva la pena di sopportare l’odore di fumo. Mentre aspettava che la cabina scendesse si accorse che nell’androne era entrato il nuovo inquilino, quello che sospettava di ammorbare gli spazi comuni.
Era poco più alto di lei. I capelli, un po’ troppo lunghi per essere alla moda, erano pepe e sale e aveva anche una bella barbona, più sale che pepe, per la verità. Indossava un loden blu, pantaloni grigio scuri e… Si, un paio di Clark’s! Con questo tempo! incredibile, sembrava proprio arrivare diritto dagli anni Settanta! Gli occhi erano belli, però, di un nocciola dorato. Forse aveva esagerato a fissarlo, doveva aver scambiato il suo esame per un invito a socializzare, infatti le sorrise: “Buonasera, lei abita al sesto piano, vero? Io al quinto. Mi chiamo Raniero De Dominicis” -si presentò-” Mi sono trasferito da poco nell’appartamento della Professoressa Maione che, ora che è in pensione, ha preferito tornare a Rimini. Anche io insegno, ma all’Università.” Flavia emise un mugolio che lo scocciatore poteva ritenere, se voleva, un segno di interesse, intanto pensava -” Ma quanto ci mette questo ascensore?” un poco imbarazzata da quel profluvio di informazioni non richieste. “Lei lavora da casa? La sento muoversi durante tutta la giornata “proseguì imperterrito lui – “Ma guarda che faccia tosta, Mi spia e me lo viene anche a raccontare!” pensò lei, lanciandogli uno sguardo che sperava lo incenerisse per sempre. Provò a escogitare una bella risposta tagliente, ma poi decise che non ne valeva la pena. Gli girò le spalle, ignorando la sua domanda, e continuò a premere il pulsante di chiamata, anche se sapeva che era inutile.” Lei ama la poesia, vero? “ insistette il Professore “E questa da dove esce ora? “Flavia si girò per guardarlo dritto negli occhi, ora aveva tutta la sua attenzione.
“Anche a me piace fare le scale qualche volta, ieri sono sceso poco dopo di Lei, l’ho anche chiamata, ma non mi ha sentito. Volevo darle la poesia e la foto che le erano cadute.” Cercò nella borsa che aveva in mano e gliele porse. Controvoglia, Flavia, mormorò un ringraziamento, imbarazzata. Se ne dovette accorgere, dimostrando finalmente un minimo di empatia, perché continuò con tono serio. “ Poesie come la sua sono pericolose, aprono uno squarcio sull’ anima. Faccia attenzione …” E poi si girò e, senza entrare nell’ascensore che finalmente era arrivato, se ne andò lasciandola inquieta e un poco spaventata. Altro che bicchiere di lambrusco, quella sera sarebbe servita l’intera bottiglia!
Continua…
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