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Nunzia Del Gaudio: l'autrice che ha aperto la rassegna Notte d'Arte a Sorrento

Autore: dott. Carlo Alfaro | Pubblicato Agosto 2018 in Cultura

Nunzia Del Gaudio, di Pompei, è un’ar­tista a 360 gradi: pittrice, poetessa, attrice, autrice teatrale e ora anche scrittrice, col suo romanzo “Non abbiamo bisogno di parole”. Tema portante della sua indagine artistica, la condizione della donna e il suo continuo confronto- scon­tro con l’uomo. E’ stato già questo il tema del lavoro teatrale “O’ Primmo Ammore”, atto unico brillante di cui ha firmato testo e scene, portato al successo dalla regia di Maia Salvato, apprezzata attrice e insegnan­te di recitazione, con in scena Laura Pepe, Alessandro D’ Auria, Alfonso Salzano, Imma Galasso, Carlo Alfaro, Emilia Cascone e Fa­bio Casano, e trucchi e costumi di Mariella Cocurullo.
Intrigante la trama: una fioraia quaran­tenne si trova a fare un bilancio della sua vita, tra un lavoro difficile nel rapporto con clienti e collaboratori, una relazione coniugale avvelenata dalle incomprensioni, un primo amore troppo a lungo idealizzato nel rimpianto e...due fiori, una rosa e una margheri­ta, che si animano come voci contrapposte del­la sua coscienza. Speranzina, la protagonista, è una donna forte, intraprendente e piena di vita, ma delusa, ferita dagli eventi. Vive nel suo ne­gozio tra i fiori, barcamenandosi tra impegni lavorativi e visite di clienti che riempiono la sua giornata. Assorbita da una quotidianità che non la soddisfa, Speranzina si rifugia nei ricordi: il padre che le manca tantissimo, e il suo “pri­mo amore”, quello che padre le aveva vietato di vedere, e di cui assapora il gusto agrodolce del rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato. Ai suoi interrogativi esistenziali cercano di dare risposta i surreali dialoghi con la rosa e la margherita, che ingaggiano una lotta all’ulti­mo sangue nel suo animo, l’una tentandola e l’altra trattenendola, finché la donna alla fine decide di seguire il suggerimento della spre­giudicata rosa e trova il coraggio di attraversare l’arco che separa in due la sua vita, per scoprire cosa sarebbe accaduto se invece di ubbidire al padre fosse andata all’appuntamento con l’altro uomo, il primo amore. La sua storia si intreccia con quella di un’altra coppia, con le crisi e gli ondeggiamenti delle relazioni attuali, e del suo collaboratore extra-comunitario. Una commedia romantica, comica ma velata di ma­linconia, attuale ma imperniata su sentimenti eterni: l’amore, il rimpianto, la perdita, il dub­bio, l’illusione, la mancanza, il conflitto, la soli­tudine, l’incomprensione, il dolore, la speranza.
Stesse tematiche che tornano prepoten­ti nel suo romanzo, “Non abbiamo bisogno di parole”, selezionato per aprire, in presenza del sindaco Giuseppe Cuomo e dell’assessore Massimo Coppola, la rassegna “Libri sotto le stelle” al Sedil Dominova nella “Notte d’Arte” di Sorrento, il 30 giugno 2018, un memorabile evento di strepitoso successo. Il libro parla di femminicidio, violenza di genere, depressione, anoressia, legami di sangue, manipolazione mentale, con soave intensità, in continuo bi­lico tra sogno e realtà. Il testo è liberamente ispirato alla tragica storia di Melania Rea, la giovane mamma di Somma Vesuviana assas­sinata a 20 anni nel bosco di Colle San Marco il 18 aprile 2011 dal marito, Salvatore Parolisi, militare, con 35 coltellate. Il suo corpo fu rinve­nuto due giorni dopo nella macchia boschiva, su un tappeto di foglie e aghi di pino, il volto rivolto in alto e il corpo straziato di ferite. La­sciava la loro bambina, Vittoria, di soli 18 mesi, con la quale quel maledetto giorno si era re­cata nel bosco per farla giocare. Figlia di un militare dell’Aeronautica, Melania aveva perso la testa per Salvatore, un militare che lavorava come addestratore in una caserma femminile: i due si erano velocemente sposati e presto era arrivata la bellissima Vittoria. Purtroppo, però, Salvatore aveva un’altra donna, Ludovica, 26 anni, un’allieva del marito. Melania, scoperta la tresca, perdonò il marito, che in realtà, invece, non aveva mai troncato la storia con Ludovica al punto di decidere di liberarsi per sempre del­la moglie.
Nunzia Del Gaudio, artista di rara sensibilità, ha vissuto, come tutto il grande pubblico italia­no, ogni fase della vicenda, rappresentata con grande risalto dai media, con immensi dolore e compartecipazione emotiva. La sua emoti­vità di donna l’ha fatta immedesimare nel do­lore della figlia, Vittoria, probabile testimone dell’omicidio della madre, che diventa Viola, protagonista nel romanzo, proiettata dalla sua fantasia nella vita adulta. Viola sconta, nell’im­maginazione dell’autrice, il senso di colpa che le è rimasto per non aver salvato sua madre dalle tenebre e, divenuta mamma, preda dei suoi fantasmi, dell’anoressia e della depressio­ne, cede allo sconforto più profondo.
Al territorio di Sorrento, che ama profon­damente, Nunzia ha dedicato una toccante pagina del libro: “Nell’aria si muove un esse­re celeste, è luminoso, sorvola la mia testa e nell’immensità dei cieli scompare, è solo un gabbiano! L’aria è fresca e i profumi sono pro­

fumi del Sud. Fiera mi innalzo nel cielo, come figlia dell’agrumeto. Le essenze son sorelle, forse gemelle. Il profumo dei fiori d’arancio mi rapisce e mi conduce a momenti felici. Una brezza marina e un’essenza di finocchietto sel­vatico accarezzano i miei capelli, li profumano di costiera e mi par di stare a camminare nei vicoli antichi di Sorrento. Riesco a percepire il giallo del limoncello e il verde delicato del fi­nocchietto, alle mie sollecitate narici un profu­mo quasi balsamico. Respiro a pieno polmoni certa che quest’aria risana altresì le ferite che porto, non più doloranti, oramai. Salgo e risalgo dai boccioli che al vento si abbandonano, do­nandosi ai frutti che verranno. Il soffio delicato del vento mi mantiene sospesa nel vuoto, ma percepisco con la caduta, la certezza dell’esse­re viva. Dentro di me una quiete si apre furtiva, ruba i pensieri, dimentico tutto, la pace dei sen­si predomina, è come un sopore che rigenera”.
Forte sostenitrice del valore terapeutico dell’arte, Nunzia ha fondato l’AVE- Associazio­ne Culturale Pompei, che, spiega: “Punta a sti­molare bambini e adulti di qualsiasi età alla cre­scita culturale, abbracciando le diverse forme dell’attività artistica (pittura, scultura, musica, danza, teatro, canto), per migliorare il benes­sere della persona nella sfera emotiva, affetti­va e relazionale, nella convinzione che arte e cultura producano benessere, salute e miglio­ramento della qualità della vita, attraverso au­mento della consapevolezza di sé e del senso di identità, delle abilità cognitive ed emoziona­li, dell’autostima, della capacità di fronteggia­re situazioni di difficoltà e stress e di superare esperienze traumatiche”.
Forse, proprio come è stato per la stessa Nunzia, condannata alla sofferenza dalla sua smisurata sensibilità.