
Dai caffè francesi al cabaret italiano: cosa è cambiato?

Sin dai tempi di Villon e Rebalais, le antiche osterie rappresentavano luoghi di ritrovo abituale per intellettuali e artisti che esibivano la propria filosofia, senza seguire un vero e proprio schema per l’intrattenimento degli ospiti. Tuttavia la mescolanza di canti, scenette e soliloqui nota oggi come Cabaret nacque a Parigi sul finire del XIX secolo. Il termine designava gli spettacoli e le esposizioni organizzati in locali e caffè da giovani pittori e poeti come vetrina del proprio lavoro.
Ma quali furono le principali attrazioni dei caffè? E in quale modo hanno potuto monopolizzare l’attenzione di persone appartenenti ai più vari ceti sociali? Come sempre succede nella storia socio-economica di qualsiasi paese, ad un periodo di grande depressione finanziaria e quindi politica, corrisponde paradossalmente un altrettanto grande desiderio, da parte della popolazione, di divertimento, quasi a voler dimenticare i problemi quotidiani, nell’incertezza del domani.
Col passare del tempo, questa forma di spettacolo si raffinava e migliorava di qualità con le tipiche figure delle “sciantose” e dei “macchiettisti”.
In Italia manca una vera e propria definizione cabarettistica e il suo spazio, a partire dagli anni 50’, è sempre stato occupato da quello del teatro di rivista, dal varietà e dai Teatri minimi (come la compagnia dei Gobbi). Al cabaret milanese, inizialmente impegnato culturalmente e politicamente attraverso la satira, con testi spesso scritti da intellettuali di sinistra, si opponeva il cabaret romano volto esclusivamente a divertire il pubblico e volutamente distante da implicazioni intellettuali o politiche.
Impossibile dimenticare il clamoroso successo de “Il Bagaglino”, fondato da Pier Francesco Pingitore e Mario Castellacci negli anni 60’, che con la sua piccante comicità ha conquistato il teatro, e la televisione raccontando i cambiamenti del costume italiano.
Infine, il cabaret di oggi con Zelig, Made in Sud e Colorado rappresenta più che mai una via di fuga dell’uomo dallo stress quotidiano e dalle serie problematiche del nostro Paese. Insomma, quel minuscolo foro di spensieratezza che allieta le persone con una risata (sulla scia del “meglio ridere che piangere”) nei confronti dei fatti poco felici appartenenti al contesto storico in cui viviamo.
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