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Papilloma Virus: meglio prevenire che curare

Autore: dott. Carlo Alfaro | Pubblicato Ottobre 2018 in Salute

Il virus del papilloma umano (HPV, dall’inglese Human Papilloma Virus), piccolo virus a DNA ap­partenente alla famiglia dei Papillomaviridae, ha un tropismo particolare per le cellule epiteliali, che ricoprono la superficie di pelle, mucose, ghiandole. Attacca quindi la cute e i rivestimenti di alcune cavi­tà corporee come bocca, gola, cervice uterina, vulva, vagina, pene e ano. Il virus viene liberato dalle cellule superficiali di cute e mucose infettate, oltre ad esse­re presente in tutti i liquidi biologici (saliva, sperma, sangue). La trasmissione è prevalentemente per via sessuale, attraverso il contatto diretto con cute o mucose. I microtraumi che avvengono durante i rapporti sessuali potrebbero favorire la trasmissione. L’infezione si trasmette con molta faciltà in rapporto a due ordini di motivi: l’assenza frequentemente di sintomi evidenti ne favorisce subdolamente la diffu­sione; il virus si trasmette anche con rapporti sessuali non completi, di tipo vaginale o anale, quindi il pre­servativo non protegge al 100%, potendo avvenire il contagio attraverso il contatto di regioni della pelle non coperte dal profilattico; possibile, anche se più raramente, la trasmissione attraverso rapporti orali.
Con frequenza decisamente inferiore, l’infezione può trasmettersi per contatto indiretto, in luoghi pro­miscui e poco puliti (bagni o docce pubbliche, pisci­ne, saune, caserme), eventualità rara perché il virus è scarsamente resistente al di fuori del corpo umano. I ceppi di HPV sono suddivisi in tipi a basso rischio, che danno luogo a patologie benigne (verruche nella cute e papillomi nelle mucose) e ad alto rischio, che generano carcinomi delle mucose.
Si conoscono più di 120 tipi di HPV, divisi in 16 gruppi designati con le lettere da A a P, e contraddi­stinti ognuno da un numero: tra questi, circa 40 sono
risultati associati a patologie umane, e 12, secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) hanno potere oncogeno.
L’HPV è estremamente diffuso nella popolazione: si stima che il 75% delle persone vi entri in contatto nella sua vita. L’infezione, in particolare con i ceppi oncogeni, è contratta più facilmente dalle ragazze più giovani, entro i 25 anni. La probabilità di contrar­re l’HPV è tanto più alta quanto più è precoce l’età del primo rapporto sessuale, e quanto è maggiore il numero di partner avuti in prima persona e avuti dal proprio partner.
Il virus è più frequentemente trovato tra le popo­lazioni in condizioni precarie di igiene e con vita pro­miscua. Solitamente l’infezione, che ha una incuba­zione da poche settimane a qualche anno, non causa nessuna alterazione e si risolve da sola, ma talvolta si prolunga nel tempo e può dar luogo a patologie do­vute al fatto che questo tipo di virus induce la crescita degli epiteli di cute e mucose, che già sono tessuti a rapido rinnovamento, disattivando i geni con potere onco-soppressore delle cellule che parassita.
In base al rapporto che si instaura tra ospite e vi­rus, esistono tre possibilità di evoluzione dell’infezio­ne: regressione, persistenza e progressione.
La regressione avviene nel 60-90% dei casi, en­tro 1-2 anni dal contagio (mediamente 8-14 mesi): le difese immunitarie locali dell’ospite sono capaci di indurre l’eliminazione spontanea del virus. In alcu­ni casi, tuttavia, l’organismo non riesce ad eliminare il virus, specie i sottotipi ad alto rischio, a potenziale oncogeno, che riescono a persistere nelle cellule squamose e ad integrarsi nel genoma, innescando il meccanismo della trasformazione tumorale. Nell’ar­co di circa 5 anni dall’infezione in questi casi possono svilupparsi lesioni precancerose, che possono guarire spontaneamente o, raramente, progredire in tumori, anche a distanza di 20-40 anni. Non vi è modo di pre­vedere quali lesioni regrediranno da sole e quali evol­veranno negativamente. Riguardo al cancro della cer­vice uterina, il più comune tumore causato da HPV, solo l’1 per cento delle donne positive per un tipo di HPV ad alto rischio lo sviluppa.
Elementi che favoriscono la trasformazione del­le displasie in tumore sono il fumo, la compresenza di altri agenti infettivi sessualmente trasmessi, una debolezza del sistema immunitario e la presenza di familiarità per la patologia. L’aver contratto e supera­to un’infezione da un tipo di HPV non esclude che si possa essere infettati da un altro ceppo del virus.
Ogni anno in Italia più di 6500 persone di entram­bi i sessi sviluppano un tumore provocato da HPV. L’incidenza di questi tumori è aumentata negli ultimi decenni tra le coorti più giovani. Il più comune è il tu­more della cervice uterina (carcinoma cervicale o cer­vicocarcinoma), che è nel mondo il secondo tumore maligno della donna dopo quello del seno. Ogni anno si stimano in tutto il mondo 530.000 nuovi casi con 266.000 morti (la maggior parte dei quali nei Paesi in via di sviluppo). In Europa si stimano 34.700 casi all’anno, con 35 morti ogni giorno, in Italia 3.500 casi e oltre 1.500 morti.
L’infezione da HPV causa oltre il 90% di questi carcinomi. I ceppi di HPV 16 e 18 in particolare sono responsabili del 70 per cento di tutti i casi. Rappresen­ta il primo cancro a essere riconosciuto dall’Organiz­zazione mondiale della sanità (OMS) come ricondu­cibile a un’infezione. Il Prof. Harold Zur Hausen nel 2008 ha vinto il premio Nobel per questa scoperta fatta nel 1976. Prima di sviluppare il carcinoma, l’HPV determina la formazione di lesioni precancerose, chiamate displasie, indicate con le sigle CIN (neopla­sia intraepiteliale cervicale) e SIL (lesione squamosa intraepiteliale). Si stima ogni anno in Italia vengano diagnosticate 130.000 lesioni precancerose del collo dell’utero grazie allo screening delle donne dai 25 ai 65 anni.
Ci sono poi i tumori secondari: uno studio retro­spettivo pubblicato quest’anno su JAMA Network Open che ha esaminato per 40 anni 113.000 persone sopravvissute a tumori associati all’HPV (cervicale, vulvovaginale, orofaringeo, anale, penieno) suggeri­sce che tali pazienti sono maggiormente a rischio di sviluppare una seconda neoplasia correlata al virus in altri siti. Il rischio più alto è stato osservato dopo tumori indice orofaringei. Inoltre, qualsiasi tipo di cancro associato all’HPV è risultato collegato con un aumento del rischio per il cancro orofaringeo secon­dario.
Data l’importanza del virus in patologia umana, la possibilità di una prevenzione con vaccino è salvifica. I vaccini contro HPV non contengono l’agente virale ma le “virus-like particles” (Vlp), particelle dell’invo­lucro esterno che stimolano la risposta immunitaria ma sono prive del materiale genetico e, pertanto, non hanno la capacità di infettare le cellule.
In Italia sono disponibili tre tipi di vaccino: il biva­lente (approvato nel 2007), che protegge dai tipi 16 e 18, in grado di causare le lesioni precancerose della cervice uterina, della vulva e della vagina e il 70 per cento dei tumori della cervice uterina; il quadrivalen­te (approvato nel 2006) che protegge anche contro i tipi 6 e 11, responsabili del 90% dei condilomi ano-ge­nitali; il 9-valente (da febbraio 2017), che allarga la protezione anche ai tipi 31, 33, 45, 52 e 58, capaci di causare cervico-carcinoma.
La somministrazione si effettua per via intramu­scolare. In un primo tempo la vaccinazione era arti­colata in tre dosi somministrate nell’arco di sei mesi, mentre oggi è stato dimostrato fino a 14 anni due dosi a distanza di 6 mesi garantiscono una buona protezio­ne, per età maggiori sono richieste tre dosi. Gli studi indicano la persistenza di anticorpi 9 anni dopo la vac­cinazione, pertanto ad oggi non è indicata una dose di richiamo, anche se non è ancora nota con certezza la durata della protezione a più lungo termine.
In Italia, la vaccinazione anti-HPV è stata offerta attivamente e gratuitamente a tutte le dodicenni (11 anni compiuti) dal 2007-2008. Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-19 la propone invece nel calendario vaccinale per tutti gli adolescenti di sesso femminile e maschile, nel corso del 12° anno di età.
L’indicazione di vaccinare entrambi i sessi, oltre a proteggere direttamente anche i maschi dalle gravi, benchè rare, patologie tumorali da HPV (ano, pene, te­sta-collo), garantisce la possibilità di interrompere la circolazione e trasmissione del virus tra i soggetti su­scettibili della popolazione, grazie all’effetto-gregge.
Importante per la sua efficacia il timing della vac­cinazione: l’efficacia del vaccino nel prevenire le le­sioni precancerose correlate ai tipi in esso contenuti è del 90-100% se le donne non sono state ancora in­fettate, cosa che avviene precocemente dopo l’inizio dell’attività sessuale, mentre si riduce a circa il 50% nelle donne già infettate. Ecco perché, per garantire la massima efficacia, l’Oms raccomanda che la condizio­ne ideale è vaccinare prima dell’esposizione sessuale, principale veicolo di trasmissione del virus.
Dal momento che resta comunque la protezione per altri ceppi cui non si sia stati esposti, la vaccina­zione è in ogni caso approvata dall’Agenzia Europea dei Medicinale (EMA) in persone che hanno già inizia­to l’attività sessuale, fino a 26 anni. Sul versante della sicurezza, il monitoraggio degli eventi avversi sia dai dati internazionali, sia da quelli raccolti dal sistema nazionale di vaccino-vigilanza (Position Statement Gimbe), ha dimostrato un elevato profilo di garanzia.
In Italia, l’ultimo report dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) sulle reazioni avverse dopo le vaccina­zioni, conferma che nella quasi totalità dei casi sono stati riscontrati effetti collaterali solo passeggeri e di lieve e modesta entità (leggera febbre, arrossamento e gonfiore nel punto di iniezione, più raramente mal di testa, disturbi gastrointestinali, un leggero senso di malessere, dolori muscolari).
Il paradosso del vaccino anti-HPV è che, a fronte delle acclarate prove di sicurezza ed efficacia, la co­pertura vaccinale in Italia si è progressivamente ridot­ta: a fronte di una copertura intorno al 70% nelle co­orti di nascita dal 1997 al 2000, i tassi sono diminuiti nelle coorti 2002 (65,4%) e 2003 (62,1%), per poi pre­cipitare al 53% nella coorte 2004. I dati delle copertu­re vaccinali mostrano inoltre ampia diversità regiona­le. Il raggiungimento e il mantenimento nel tempo di un’adeguata copertura vaccinale sono fondamentali per l’efficacia di un programma di vaccinazione attivo.
Secondo quanto previsto dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019, con l’offerta gra­tuita a maschi e femmine dagli 11 ai 12 anni di età della vaccinazione anti-HPV- che non rientra tra quel­le obbligatorie del “Decreto vaccini”- si dovrebbe rag­giungere una copertura vaccinale del ciclo completo in almeno il 95% sia delle femmine che dei maschi, seppur in maniera graduale: almeno il 60% nel 2017, il 75% nel 2018 e il 95% nel 2019. Perché ciò avvenga urge un impegno collettivo di classe politica, sanitari, mass-media per dissipare le incertezze dell’opinione pubblica.
Secondo la recente ricerca Censis “Chi ha paura del Papillomavirus”, il vaccino è stato sconsigliato, anche dai sanitari, al 34,4% dei genitori. Sempre in questo rapporto emerge un livello di conoscenza dei genitori italiani su HPV e sulla vaccinazione non ancora adeguato. Molte le campagne di sensibilizza­zione messe in atto a livello globale. In Italia, l’Aiom, Associazione italiana medici oncologi, ha lanciato uno spot informativo, visibile sul sito www.aiom.it e diffuso in tv e sui canali social, con protagonista la tennista brindisina Flavia Pennetta, detentrice di prestigiosi premi mondiali sia in singolare che in doppio. Una Giornata nazionale di sensibilizzazione e informazio­ne ai fini di aumentare la copertura vaccinale è stata indetta lo scorso 19 maggio dal Rotary Italia: a Roma, Milano, Genova, Firenze, Napoli, Cagliari, Reggio Cala­bria e Palermo, si è tenuto nelle piazze lo “Stop HPV Day 2018”. L’iniziativa si inserisce nello “Stop HPV”, il programma nazionale del Rotary Italia attivo da due anni che ha visto lo svolgimento di numerose attività anche nelle scuole di tutta Italia.