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La sindrome del bambino scosso: quando il pianto del neonato fa impazzire i genitori

Autore: a cura del dott. Carlo Alfaro | Pubblicato Febbraio 2019 in Salute

Per “sindrome del bambino scosso” (SBS: Shaken Baby Syndrome) si intende una forma di maltrattamento fisico a danno di bambini piccoli, che include una varietà di segni e di sintomi a carico del sistema nervoso centrale e/o altre sedi, secondari allo scuotimento violento. Una variante è la “Shaken Impact Syndrome”, nella quale il bambino è gettato con violenza contro una superficie, non necessariamente dura (come il lettino). Attualmente entrambe le modalità lesive sono incluse nella più moderna definizione di “Trauma cranico abusivo” (AHT: Abusive Head Trauma), suggerita dall’American Academy of Pediatrics nel 2009, per sottolineare come non solo lo scuotimento, ma anche un impatto traumatico, o la combinazione di entrambi i meccanismi, possano essere alla base di tale patologia.
Il bambino viene scosso violentemente di solito per reazione al suo pianto inconsolabile, di cui gli adulti spesso non riescono a cogliere il significato e in risposta al quale, sentendosi impotenti, possono attivare, anche inconsapevolmente, dei comportamenti inappropriati, come scuoterlo o sbatterlo, quale errata manovra consolatoria nel tentativo di calmare il bambino o conseguenza di un impeto di rabbia e frustrazione.
Il fattore scatenante è un tipo particolare di pianto che i britannici definiscono “purplecrying”, ossia un tipo di pianto, soprattutto nei suoi primi mesi di vita del bambino, inconsolabile, prolungato e che sembra non avere mai fine, inspiegabile al punto di finire per risultare insopportabile, perché fa sentire i neo-genitori come accusati di insufficienza dal piccolo, generando senso di frustrazione, rabbia, impotenza.
Perché si verifichi lo scuotimento, con la forza ad esso impressa, deve associarsi anche uno stato psichico alterato dell’adulto, che trova le sue radici nella difficoltà a gestire situazioni stressanti, scarso controllo degli impulsi, tendenza al comportamento aggressivo e a risolvere le crisi col ricorso a violenza fisica.
Il picco di incidenza della SBS si ha tra le 2 settimane e i 6 mesi di vita, con acme a 2 mesi, periodo in cui più facilmente il bambino piange in maniera per i genitori incomprensibile ed è anche fisicamente più vulnerabile. L’incidenza si riduce notevolmente dopo il primo anno.
Tipicamente il contesto del maltrattamento è intra-familiare: genitori o di altre figure di accudimento. I principali fattori di rischio sono: da parte dei genitori, famiglia mono-genitoriale, età materna inferiore ai 18 anni, basso livello di istruzione, uso di alcol o sostanze stupefacenti, disoccupazione, condizioni socio-economiche scadenti, episodi di violenza in ambito familiare, disagio sociale, stress, mancanza di sonno, problemi personali e di coppia, depressione e altre patologie psichiatriche, emicrania; da parte del neonato, carattere irritabile, difficile, esigente, con faciltà al pianto per ogni minimo cambiamento di stato, presenza di coliche gassose o altre condizioni legate al pianto frequente.
L’incidenza del fenomeno sarebbe di 30 casi su 100.000 bambini sotto l’anno, con una mortalità del 25%. Il violento scuotimento del bambino determina un’azione lesiva meccanica correlata alle brusche accelerazioni e decelerazioni cui vengono sottoposti i tessuti corporei. In particolare, a livello dell’encefalo, le caratteristiche anatomiche peculiari del neonato e del lattante favoriscono il determinarsi dei danni biomeccanici: il notevole volume e peso del capo in rapporto al resto della massa corporea, l’ipotonia della muscolatura paraspinalecervicale (che causa il tipico ciondolamento della testa dei primi mesi di vita), l’elevato contenuto acquoso del sistema nervoso centrale immaturo, la non completa mielinizzazione delle fibre nervose, l’elevato volume degli spazi subaracnoidei rispetto all’ancora modesto volume cerebrale.
Quando si scuote con forza un neonato, la sua testa ruota in maniera incontrollata, perché i muscoli del collo non sono ben sviluppati e offrono poco sostegno alla sua testa: il movimento violento causato dallo scuotimento sballotta in avanti e indietro il cervello, che è libero di muoversi all’interno del cranio, provocando lesioni del tessuto cerebrale. Il danno può essere maggiore quando un episodio inizia con il solo scuotimento, forza di accelerazione, e termina con un impatto brusco, forza di decelerazione, es. contro un muro o sul materasso della culla, perché in tal caso le forze applicate e associate con un impatto sono particolarmente forti.
Le conseguenze possono essere stiramento degli assoni della sostanza bianca e talvolta la loro rottura completa, lacerazione di alcune vene con ematomi subdurali (generalmente bilaterali), emorragie subaracnoidee, encefalomalacia, emorragie spinali e retiniche, edema del tessuto cerebrale, esiti delle sofferenza ipossica acuta del cervello con, a distanza di diverse settimane, anche di atrofia del cervello, per la morte dei neuroni che hanno sofferto maggiormente nella fase acuta; possibili anche fratture scheletriche (in particolare ossa lunghe e coste posteriori).
La sindrome del bambino scosso è la principale causa di morte per maltrattamento per i bambini nei primi anni di vita. Bastano anche solo per pochi secondi di scuotimento per causare di lesioni molto gravi, soprattutto al di sotto dell’anno di età: dalle “confessioni” dei responsabili si evince che in genere il bambino vittima di SBS viene afferrato a livello del torace o delle braccia e scosso energicamente circa 3-4 volte al secondo per 4-20 secondi.
Sono possibili alterazione immediata della coscienza e delle funzioni vitali, con difficoltà a respirare e rallentamento del battito. Il piccolo può manifestare irritabilità estrema e pianti inconsolabili, iporeattività, ipotonia o rigidità, difficoltà a rimanere sveglio fino alla letargia, sguardo assente, difficoltà ad alimentarsi, vomito, tremori, apnea, cianosi, aumento repentino della circonferenza cranica, paralisi, convulsioni, shock,coma e morte. Talvolta, il bambino con il tempo può sviluppare dei problemi gravi, quali: cecità parziale o totale, perdita dell’udito, ritardo e compromissione dello sviluppo psicomotorio, disturbi del linguaggio e dell’apprendimento, deficit di memoria e attenzione, paralisi cerebrale, epilessia, disturbi comportamentali.
La diagnosi, sospettata in base alla clinica, può essere confermata dall’esame del fundus oculi da parte dell’oculista e dagli esami neuro-radiologici. Per la prevenzione, è necessario che i genitori siano informati su significato del pianto dei neonati e la pericolosità dello scuotimento, e adottino delle strategie corrette e informate per mantenere la serenità necessaria per prendersi cura del bambino e imparare a riconoscere i suoi bisogni.
Il pianto per il bambino, nei primi mesi di vita, è la sua unica forma di linguaggio, l’unico strumento che ha per comunicare: fame, sonno, caldo, freddo, stanchezza, bisogno di essere cambiato, desiderio di modificare la sua posizione, o semplicemente esigenza di coccole o del contatto fisico per essere rassicurato. Il pianto del lattante non indica in realtà quasi mai dolore o sofferenza, e di solito non c’è alcuna malattia sotto i pianti persistenti dei neonati. La famosa “colica gassosa”, ossia la presenza di gas intestinali che provocherebbe il pianto, probabilmente non esiste: ingoiare aria sarebbe la conseguenza del pianto e non la causa.
ll pianto è una forma di linguaggio che, sviluppatasi grazie all’evoluzione della nostra specie, ha una sua funzione fondamentale nel costruire una relazione di attaccamento e nella comunicazione genitori-figlio. I cuccioli dell’uomo nascono molto immaturi rispetto ai cuccioli delle altre specie di mammiferi, perché il cervello, per le sue dimensioni rispetto al resto del corpo, completa la sua maturazione dopo la nascita. Per questo motivo, mentre i cuccioli di mammiferi appena nati hanno già molte competenze, il neonato umano essendo molto immaturo ha un assoluto bisogno di essere accudito, in tutto: il pianto gli serve pertanto per attivare subito l’attenzione dei genitori.
Il pianto ha una funzione così importante che il bambino “studia” per impararlo già in utero. Già alla nascita, quando piange, il neonato imita il linguaggio materno: un gruppo di ricercatori ha studiato con particolari programmi computerizzati il pianto di neonati tedeschi e francesi, trovando che il loro pianto ricalca le caratteristiche melodiche della lingua di appartenenza. In altre parole, il bimbo ascolta molto bene già in utero la parlata della madre e cerca di imitarla appena nato con lo strumento vocale che possiede in quel momento, il pianto.
Il pianto del neonato rappresenta dunque una comunicazione da ascoltare e da accogliere: non è importante capire subito quello di cui ha bisogno il bambino, forse nemmeno lui lo sa, conta solo l’accoglimento della sua ansia. Viceversa, l’atteggiamento ansioso dei genitori di fronte al pianto del neonato accresce il suo disagio e aumenta il pianto. Soprattutto, qualunque sia il motivo, non bisogna mai scuotere il bambino per calmarlo.
La maggior parte degli artefici del danno sono inconsapevoli della gravità di un simile intervento. Una corretta e completa informazione ai genitori e alle famiglie è quindi importante affinché un gesto, a volte inconsapevole o addirittura benevolo, non si trasformi in un grave danno per il neonato. Sono, invece, tante altre le soluzioni che si possono mettere in atto per cercare di calmare il pianto di un neonato.
L’approccio suggerito per aiutare e calmare il neonato che piange si basa sulle “cinque S”: 1) shushing, ossia “zittimento”, attraverso l’ascolto di un “rumore bianco” (particolare tipo di rumore caratterizzato dall’assenza di periodicità nel tempo e da ampiezza uniforme e costante su tutto lo spettro di frequenze, chiamato così in analogia alla radiazione elettromagnetica di simile spettro all’interno della banda della luce visibile all’occhio umano), esempio aspirapolvere, asciugacapelli, asciugatrici, lavatrice in esecuzione, che ricalcail ronzio costante del rumore nel grembo materno; anche parlargli dolcemente con un tono di voce affettuoso, cantargli una canzone che già conosce, raccontare una storia o recitare filastrocche, con tono dolce, basso e cadenzato, producono effetti calmanti; 2) side/stomach, ossia “lato dello stomaco”: posizionare il bambino lateralmente a sinistra, per aiutare la digestione; 3) sucking, ossia “succhiare”: attaccarlo al seno o offrirgli un biberon o il ciuccio o un dito per farlo rilassare; 4) swaddling, “fasciare”: avvolgere il bambino in un lenzuolo o coperta come un burrito (tortino ripieno), con fianchi e arti leggermente piegati, per dargli la sensazione di tornare nella posizione fetale; rientrano in questo ambito anche massaggi, abbracci, picchiettare o strofinare la schiena del bambino, un bagnetto caldo e rilassante; 5) swinging, “dondolare”, delicatamente in braccio, su una sedia, in carrozzina o in culla al ritmo di una ninna nanna, o camminando tenendolo in braccio, o facendo un giro in passeggino o in macchina, per ricordargli il movimento che provava nel grembo materno.Se nonostante tutto non smette di piangere, si può provare a: assicurarsi che i bisogni fondamentali del bambino siano soddisfatti, verificare la presenza di segni di malattia, come la febbre o difficoltà a respirare.
L’associazione non governativa Terre des Hommes ha lanciato la prima campagna nazionale di prevenzione e sensibilizzazione contro la SBS, “Non scuoterlo!”, in collaborazione con 6 eccellenze ospedaliere pediatriche italiane, il patrocinio della Società Italiana di Neonatologia (SIN), l’Autorità Garante per l’Infanzia e Adolescenza e Pubblicità Progresso. La campagna punta a portare a conoscenza dell’opinione pubblica l’esistenza di questa forma di maltrattamentoe i gravi rischi legati allo scuotimento, attraverso la messa a punto di un sito online dedicato, nonscuoterlo.it, con video interviste, consigli utili e informazioni, compreso un decalogo sugli elementi chiave del problema, cosa può provocarlo, quali sono i segnali rivelatori che un bambino ha subito lo scuotimento e cosa si può fare per evitarlo. Strumento chiave della campagna lo spot tv con l’attore Alessandro Preziosi con finale a sorpresa per sensibilizzare sui rischi della sindrome. Il messaggio importante è che i genitori devono accettare di chiedere aiuto se il figlio, pur amato moltissimo, mette a dura prova la loro capacità di tenere a freno la rabbia e il senso d’impotenza che li travolgono di fronte al pianto persistente. Devono sapere che scuotere un bimbo per far cessare il suo pianto può avere conseguenze devastanti, conoscere le tecniche più efficaci e sicure per calmarlo e soprattutto ammettere che devono chiedere aiuto se sono in difficoltà.