Domenica 28 Aprile 2024, 15:37

La solitudine dei bambini e degli adolescenti

Autore: a cura del dott. Carlo Alfaro | Pubblicato Settembre 2020 in Salute

La solitudine è il sentimento, triste e dolente, che un individuo prova quando si sente distante, escluso e isolato dagli altri esseri umani, senza possibilità di instaurare con i suoi simili un dialogo intimo e reale e una comunicazione efficace e soddisfacente. Contrasta con l’indole intrinseca della natura dell’uomo, che in quanto animale sociale ha bisogno di interagire e di trovare il proprio posto all’interno della comunità, ed è spesso associata a un vissuto negativo, una percezione di insoddisfazione della propria vita e di cattiva qualità della stessa e un persistente malessere psicofisico.
Studi clinici negli adulti dimostrano che la solitudine aumenta il rischio di andare incontro a condotte poco salutari come alimentazione scorretta, sedentarietà, abuso di fumo e alcol, cattiva igiene del sonno, a disturbi mentali come depressione, ansia, tendenze suicidarie, o a malattie fisiche favorite dall’innescarsi di alterazioni ormonali, metaboliche, immunitarie, infiammatorie, come patologie coronariche, ipertensione, diabete di tipo 2, demenza, fino ad accrescere il rischio di morte prematura, riducendo l’aspettativa di vita. Secondo gli studi, sono fattori che aggravano la solitudine: povertà, disoccupazione, bassa istruzione, ma il sentimento è universale e trasversale e non limitato alle fasce più a rischio.
Neanche i bambini e gli adolescenti ne sono immuni e possono vivere stati di solitudine devastanti, che possono esprimersi con sintomi fisici e/o somatici. Infatti, uno studio uscito sulla rivista Personality and Individual Differences, che ha coinvolto 46.054 individui di 16- 99 anni in 237 Paesi in tutto il mondo, ha dimostrato che a sentirsi soli sono maggiormente le fasce di età giovani.
Nei bambini, più spesso la solitudine è legata a un insoddisfacente rapporto con i genitori, quando questi abdicano al proprio ruolo di figure di attaccamento, cioè fondamentali punti di riferimento perché i figli sviluppino sana consapevolezza di sé, buona autostima e capacità di resilienza verso le sfide della vita.
Ciò accade soprattutto in condizioni di rischio sociale quali conflitti familiari, povertà, emarginazione, ma non soltanto in questi casi: il senso di solitudine può manifestarsi anche nei bambini che hanno una vita sociale densa e attiva, dalla scuola ai tanti impegni extra-scolastici, se non vengono soddisfatti i bisogni, per loro primari, di sentirsi attesi, contenuti, sostenuti, incoraggiati, ascoltati dai genitori. Bisogni che vengono spesso traditi quando i genitori appaiono perennemente impegnati, stressati, distratti, connessi al cellulare anche nei momenti condivisi con i figli o i bambini sono coinvolti in una eccessiva esposizione sociale, tutte condizioni che allontanano emotivamente i genitori e i figli, facendo nascere nei bambini una sensazione di abbandono, deprivazione affettiva, esclusione dalla relazione con i genitori.
Purtroppo molti genitori oggi si concentrano più sulle cose “da far fare ai bambini” che “da fare con i bambini”, senza dar loro il tempo di vivere fino in fondo le esperienze che fanno e rielaborarle assieme in un tempo intimo e rilassato. I bambini privati del “tempo di qualità” con i genitori possono sentirsi rifiutati o respinti e sentirsi in colpa pensando di aver meritato questo isolamento perchè essendo “sbagliati” non sono riusciti a farsi amare.
In adolescenza invece, la solitudine nasce più spesso da disturbi nel rapporto con i pari. Il bisogno di sentirsi accettati e accolti dal gruppo dei pari diventa in questa fascia di età un’esigenza cruciale che può tradursi in continuo bisogno di approvazione, ansia di riconoscimento, desiderio spasmodico di inclusione sociale e di appartenenza al gruppo. Nel caso l’adolescente percepisca che questa sua esigenza viene respinta, si può sviluppare una reazione di sofferenza profonda che mina la sua autostima, in quanto tende ad attribuire la colpa dell’esclusione al suo fallimento personale.
Nell’epoca attuale, l’esplosione del web e dei social media ha portato inoltre a un aumento della solitudine. La velocità della comunicazione delle chat e dei social crea una illusione di comunione, che si trasforma in frustrazione quando ci si accorge della sua evanescenza e vacuità. Nel virtuale si sperimenta una solidarietà solo a parole, che non infonde sicurezza e protezione ma anzi aumenta l’isolamento e la disperazione di fronte a giudizi sterili e privi di reale empatia, senza presenza, ascolto, contatto, elementi indispensabili a trarre dalla relazione un autentico conforto. I profili social diventano allora sterile promozione continua di sé, senza crescita personale e costruzione della propria identità. I “like” rappresentano l’emblema del vuoto compiacimento di sé e i “selfie” triste e patetico trionfo di solitario narcisismo, mentre si posta sui social nella inutile attesa di riscontri e riconoscimenti che in realtà non vanno molto oltre la pura cortesia o la distratta consuetudine o la doverosa ipocrisia e non riscaldano il cuore che per un effimero e inconsistente momento, nella devastante assenza di un abbraccio vero.
In adolescenza, in particolare, un commento o giudizio negativo o un attacco, come avviene spesso sui social network, può avere una detonazione amplificata a livello psichico, per la particolare vulnerabilità di questa età nei confronti dell’accettazione da parte del gruppo dei pari. Inoltre, l’adolescente può sviluppare il bisogno sempre di sentirsi “connesso” perché ha il terrore che se resta “fuori” smette di “far parte” del gruppo o ne viene “estromesso”.
Urgenza di approvazione e necessità di perenne connessione generano nei ragazzi una forte ansia sociale che può condizionare il loro comportamento sfociando in un legame insano col virtuale che può concretizzarsi in condizioni psicopatologiche, come “Internet Addiction” e dipendenza dai video-giochi on line. Tali tipologie di dipendenze comportamentali producono gli stessi effetti di quelle da sostanze di abuso (desiderio compulsivo, tolleranza, astinenza, difficoltà a interrompere o ridurne l’uso nonostante le conseguenze negative in vari ambiti).
Altri disturbi del comportamento legati alla iper-connessione sono la “nomo-fobia”, che è una paura ossessiva di trovarsi senza la connessione, e la sindrome “hikikomori”, in cui i giovani scelgono il completo ritiro dalla scena sociale e sperimentano un potente disinvestimento dal mondo delle relazioni per “rinchiudersi” nella loro stanza con il proprio mondo digitale.
Non sempre tuttavia la solitudine rappresenta una condizione negativa. E’ importante che gli individui sappiano anche imparare, a tutte le età, a usare il tempo di solitudine in modo proficuo come momento di introspezione, rilassamento, riflessione, ricarica psico-fisica, crescita interiore e maturazione individuale. Molti genitori sono erroneamente convinti sia indispensabile occupare ogni momento libero dei figli con qualche attività sociale strutturata, mentre per loro è importante disporre di un tempo “vuoto”, solitario, non pianificato, dove scoprire anche il “piacere” di soffermarsi, contemplare, annoiarsi.
La noia rappresenta un potente stimolo alla creatività. Nel periodo adolescenziale, poi, quando l’individuo matura le funzioni cognitive, psicologiche e sociali proprie della sua vita di adulto, i momenti di solitudine, quando derivano da una scelta autonoma e non sono subiti da imposizioni esterne, risultano funzionali al delicato processo di separazione-individuazione dalle figure genitoriali, che consente al ragazzo di definire la propria autonomia personale attraverso il distanziamento psicologico e fisico dai genitori (separazione), e l’acquisizione di una indipendenza di pensiero e azione (individuazione). Lo stare solo nella propria intimità crea quello spazio fisico e mentale nel quale l’adolescente raccoglie le idee, medita, riflette, rielabora le emozioni, gestisce i conflitti, partorisce idee nuove e sviluppa un autonomo senso di sé.