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Un nuovo virus tutto da scoprire

Autore: a cura del dott. Carlo Alfaro | Pubblicato Febbraio 2020 in Attualità

Il nuovo virus che fa tremare il mondo, denominato “Novel Coronavirus” o “2019-nCoV” (responsabile della nuova malattia definita dall’Organizzazione mondiale della sanità, Oms, “Malattia respiratoria acuta 2019-nCoV”) è apparso a dicembre 2019 nella città di Wuhan in Cina, città che ha fatto da epicentro per la minacciosa diffusione mondiale della epidemia. E’ stato il 31 dicembre 2019 che la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan ha segnalato all’Oms un cluster (focolaio) di casi di polmonite ad eziologia ignota nella città, nella provincia cinese di Hubei. Wuhan è una metropoli di 11 milioni di abitanti, con un aeroporto centrale ed è la città più grande della Cina centrale. Dall’epicentro i casi sono stati esportati per contagio in altre città cinesi e fuori dalla Cina.
Il 9 gennaio 2020, il China CDC (Center for Disease Control) ha identificato e sequenziato il nuovo coronavirus che non era mai stato trovato prima negli esseri umani e il 20 gennaio lo pneumologo cinese Zhong Nanshan ha riconosciuto per la prima volta che il nuovo virus si può trasmettere da uomo a uomo, come ha confermato la National Health Commission cinese (massima istituzione sanitaria nel Paese), il che ne fa un virus potenzialmente capace di creare una pandemia. I coronavirus (CoV) sono un’ampia famiglia di virus respiratori chiamati così per le punte a forma di corona che sono presenti sulla loro superficie quando osservati al microscopio elettronico, che sono un fattore di virulenza, perché costituite da glicoproteine per l’aggancio alle membrane delle cellule dell’organismo.
I coronavirus sono presenti in molte specie animali (uccelli, mammiferi di allevamento, cammelli, pipistrelli) che fungono da serbatoio per la loro diffusione, ma in alcuni casi possono evolversi e infettare l’uomo (virus “zoonotici”). Si conoscono almeno 6 ceppi che infettano esseri umani – ora 7, col nuovo virus cinese. Nella specie umana, sono responsabili di comuni raffreddori, influenza e patologie del sistema respiratorio. Si stima che i 4 coronavirus 229E, NL63, OC43 e HKU1 nel complesso causino circa un terzo dei raffreddori comuni. Tuttavia, nell’ambito di quelli tipizzati come Beta-coronavirus, ci sono alcuni ceppi capaci di dare una sintomatologia importante e potenzialmente fatale, quali il SARS-CoV, responsabile della SARS (Severe acute respiratory syndrome) e il MERS-CoV, responsabile della MERS (Middle east respiratory syndrome), gravi epidemie occorse negli anni scorsi. Dall’analisi del patrimonio genetico del nuovo virus è emersa una somiglianza con i virus di SARS e MERS di circa il 70-80%.
La SARS (Sindrome respiratoria acuta grave) apparve inizialmente in Cina nella provincia del Guangdong nel novembre 2002, e tra il 2002 e il 2003 provocò quasi 8.500 casi con oltre 800 decessi in 37 Paesi del mondo, con una mortalità di circa il 10 per cento. Il numero maggiore di decessi si ebbe in Cina, seguita da Hong Kong, Taiwan, Canada e Singapore (4 casi in Italia). La MERS (Sindrome respiratoria mediorientale) è stata una grave epidemia sviluppatasi da un focolaio in Arabia Saudita nel giugno 2012, con 2494 casi e 858 morti, manifestando, rispetto alla SARS, una maggiore letalità (del 35%) ma una minore contagiosità.
I coronavirus umani si trasmettono da una persona a un’altra attraverso contatto ravvicinato: saliva, tosse, starnuti, contatti diretti personali (come toccare o stringere la mano e portarla alle mucose), o con oggetti o superfici contaminati dal virus portandosi poi le mani (non lavate) su bocca, naso, occhi, più rara la contaminazione fecale. Ciò rende ragione di una elevata possibilità di trasmissione di comunità. Per passare da una specie all’altra (“salto di specie” o “spillover”) i virus devono mutare il loro patrimonio genetico. I coronavirus, come gli altri virus a RNA, tendono a mutare facilmente. Anche in casi precedenti di gravi epidemie influenzali erano in gioco nuove varianti virali che dal serbatoio animale si erano adattate all’uomo: la SARS nel 2002 dai pipistrelli agli zibetti e poi all’uomo, nel 2009 l’influenza A H1N1 (aviaria) dagli uccelli ai suini e da questi all’uomo, nel 2012 la MERS dai pipistrelli ai dromedari e poi all’uomo. Dopo il salto di specie il virus può mutare ancora e diventare capace di passare da uomo a uomo, moltiplicando esponenzialmente la capacità di diffusione. Non è ancora chiaro in quale specie si sia originato 2019-nCoV. Secondo la tesi degli scienziati delle Università di Pechino e Guangxi pubblicata sul Journal of Medical Virology, il 2019-nCoV verrebbe dai serpenti, nei quali il virus, trasmesso dai pipistrelli, si sarebbe ricombinato e poi passato all’uomo per ingestione. Tuttavia, la teoria è stata messa in dubbio dato che i coronavirus hanno infettato sinora solo mammiferi e uccelli. Il rischio di trasmissione di virus in generale aumenta comunque con il consumo della “bushmeat”, letteralmente “carne da cespuglio”, la selvaggina tropicale (scimmie, roditori, uccelli, rettili), venduta nei mercati locali, che è una fonte di cibo classica nelle culture di popolazioni di Asia, Africa e Sudamerica.
I primi casi di infezione si sono manifestati tra quanti avevano frequentato il Mercato Ittico Huanan della città di Wuhan, attualmente chiuso al pubblico. Il Wuhan’s South China Seafood City Market è un mercato di prodotti ittici dove oltre al pesce fresco e ai frutti di mare vengono esposti e venduti animali vivi, domestici e selvatici, quali volatili, maiali, pipistrelli, serpenti, tassi, porcospini, zibetti, molti dei quali noti come riserve di virus capaci di “saltare” all’uomo. Spesso, in questi mercati cinesi, gli animali sono macellati e scuoiati sul posto, il che contribuisce a diffondere goccioline di sangue e liquidi organici nell’aria e infettare cibi e bevande, mentre mani non pulite possono toccare e contaminare la merce. L’estremo affollamento dei luoghi e l’eccessiva promiscuità tra uomo e animali possono creare un mix epidemiologico esplosivo.
Alla fine di gennaio, il bollettino dell’Oms annoverava quasi 10mila casi confermati nel Mondo con altrettanti casi sospetti in attesa di conferma, oltre 1000 casi in gravi condizioni e circa 200 morti (tutti in Cina). In Cina, sono state interessate dall’epidemia tutte le regioni della Repubblica Popolare ad eccezione del Tibet (nell’estremo ovest). L’epidemia ha coinvolto anche una ventina di altri Paesi nel mondo (resto dell’Asia, Europa, America, Australia), ma con casi isolati e sporadici e tutti collegati al contatto con il focolaio nella Repubblica cinese.
La mortalità sarebbe intorno al 3,1%, ovvero più bassa rispetto a SARS o MERS. Ovviamente va tenuto conto che le cifre sono sottostimate rispetto alla reale diffusione del virus perché molte infezioni danno sintomi generici e lievi. Secondo una analisi delle Università di Lancaster, Florida e Glasgow, viene diagnosticato solo il 5% dei casi di infezione. Il fatto che siano stati documentati casi numerosi anche in ambito sanitario, evidenzia la grande possibilità di trasmissione interumana del virus, anche se il parametro R0, ovvero all’incirca il numero medio di persone che un individuo infetto dal virus può contagiare, per il virus 2019-nCov, è valutato da 1,4 a 3,8 secondo la Lancaster University, mentre per la SARS va da 2 a 5 (dunque simile), la pertosse a 5 e il morbillo arriva a oltre 10.
La sintomatologia prevede le manifestazioni tipiche e non specifiche di una malattia respiratoria, del tutto sovrapponibili a quelli di un’influenza classica: febbre alta, raffreddore, tosse secca e insistente, mal di gola, mal di testa, malessere generale, astenia, difficoltà respiratoria, dolori ossei e muscolari. Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave con difficoltà respiratoria fino al distress respiratorio, insufficienza renale e morte. Il 2-5% dei malati muore, il 16% dei contagiati ha una forma grave. Una forma inizialmente lieve, simil-influenzale, può progredire in una forma grave, soprattutto in persone con condizioni cliniche croniche pre-esistenti. Si ritiene che l’incubazione sia di 2-10 giorni. Per la diagnosi, grazie al sequenziamento completo del genoma, è stato creato un accurato test diagnostico su campioni respiratori e/o di siero, che richiede normalmente 16 ore ma è stato messo a punto un test rapido che dà risultati entro 15 minuti.
Allo stato attuale non è disponibile un vaccino per prevenire l’infezione (potrebbe essere pronto entro 20 mesi), né esistono trattamenti specifici, bensì solo sintomatici per i dolori muscolari e articolari, la tosse e la febbre, oltre al supporto rianimativo per i casi gravi. L’unica arma è la prevenzione del contagio. Le misure prese dalla Cina e da tutto il mondo sono state tempestive e potrebbero essere efficaci a contenere l’epidemia, come è accaduto per la SARS che a un anno dalla diffusione è stata contenuta, grazie allo sforzo a livello globale. Le raccomandazioni generali diramate dall’Oms contemplano: corretta igiene delle mani con acqua e sapone (per almeno 20 secondi); evitare luoghi affollati e il contatto ravvicinato con chiunque mostri sintomi di malattia respiratoria acuta come febbre, tosse e starnuti; evitare di andare al lavoro o uscire se si è malati; coprirsi con un fazzoletto quando si tossisce o starnutisce (e gettare il fazzoletto subito dopo); evitare di toccare gli occhi, il naso o la bocca con mani non lavate; consumare solo cibo ben cucinato e bere acqua in bottiglia; identificazione e isolamento precoce degli ammalati. Tutti i membri della famiglia un cui componente sviluppa sintomi di infezione acuta respiratoria, inclusi febbre, tosse, mal di gola e respirazione difficile, devono essere considerati contatti e trattati come possibili infetti.
La Cina ha creato la più estesa quarantena della storia, a carico di oltre 50 milioni di abitanti (come “chiudere” l’Italia o la Francia): il trasporto pubblico è stato fermato, chiusi asili, scuole, università, mercati, internet cafè, cinema e teatri, templi, annullati i festeggiamenti per il Capodanno Cinese, interrotti i viaggi turistici. Gli esperti tuttavia ammoniscono che nessuna quarantena garantisce un vero isolamento, al massimo può rallentare la diffusione. I posti letto negli ospedali pubblici e privati sono stati ampliati e in poche settimane è stato costruito un nuovo ospedale mentre un altro è stato progettato e sarà pronto in tempi stretti. Ai viaggiatori viene misurata la febbre, se alterata vengono trasferiti in ospedale. A tutti i cittadini è stato chiesto di indossare mascherine protettive e le misure igieniche nei luoghi pubblici sono potenziate. A livello internazionale, molte compagnie aeree hanno sospeso tutti i voli diretti o in partenza dalla Cina. Negli Usa i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) hanno alzato a 3 i loro livelli di travel warning, ossia il massimo, invitando i cittadini americani ad evitare i viaggi non essenziali in Cina. I Paesi della UE, tra cui l’Italia, hanno predisposto i rimpatri dei connazionali in Cina, attivando il meccanismo di protezione civile e cofinanziando il trasporto. Il Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc, European Centre for Disease Prevention and Control) ha innalzato da “basso” a “moderato” il rischio dell’arrivo del virus in Europa.
Il “Comitato di emergenza speciale per il nuovo coronavirus” che l’Oms ha convocato a Ginevra il 30 gennaio ai sensi del Regolamento sanitario internazionale, ha altresì corretto il livello di rischio globale da “moderato” ad “elevato” e ha dichiarato “emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale” (PHEIC) l’epidemia del nuovo coronavirus, nella preoccupazione che il virus possa diffondersi in Paesi con sistemi sanitari più deboli che non sono preparati ad affrontarlo. Un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale si verifica in presenza di una situazione “grave, improvvisa, insolita o inattesa” ed è definita come “un evento straordinario che si manifesta quando costituisce un rischio per la salute pubblica anche per altri Stati attraverso la diffusione internazionale delle malattie e quando richiede una risposta internazionale coordinata”. Dal 2009 ci sono state cinque dichiarazioni PHEIC: per la pandemia di H1N1 (o influenza suina) del 2009, per la polio del 2014, per l’epidemia del 2014 di Ebola nell’Africa occidentale, per l’epidemia di virus Zika 2015-2016 e, a partire dal 17 luglio 2019, per l’epidemia di Kivu Ebola iniziata nel 2018. La SARS, il vaiolo, la poliomielite di tipo selvaggio e qualsiasi nuovo sottotipo di influenza umana sono automaticamente PHEIC.
Il nuovo coronavirus è classificato di tipo B (come Sars, Aids e Polio) quanto a pericolosità, ma viene di fatto gestito come uno di classe A, al pari di colera e peste. In Italia, il Ministero della salute ha instaurato una “task-force operativa Coronavirus 2019-nCoV” composta dalla Direzione generale per la prevenzione, dalle altre direzioni competenti, dai Carabinieri dei NAS, dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, dall’Usmaf (Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera), dall’Agenzia italiana del Farmaco, dall’Agenas e dal Consigliere diplomatico. La task-force punta ad adottare ogni misura necessaria in stretta osservanza delle linee guida indicate dalle autorità sanitarie internazionali quali l’OMS e l’ECDC e coordinare tutti gli opportuni interventi. Ai fini del monitoraggio dei flussi in arrivo dalle aree potenzialmente a rischio, presso gli aeroporti di Roma Fiumicino e Milano Malpensa, collegati con Wuhan, il Ministero della salute ha attivato un canale sanitario che prevede il controllo della temperatura corporea dei viaggiatori via scanner e la compilazione di una scheda che indichi destinazione e percorso dei passeggeri. Prevista dal Regolamento sanitario internazionale Rsi 2005 e gestita dall’Ufficio di Sanità marittima aerea e di frontiera, la procedura mira a verificare l’eventuale presenza a bordo dei velivoli di casi sospetti sintomatici e il loro eventuale trasferimento in bio-contenimento all’Istituto nazionale Malattie infettive Spallanzani di Roma.
Mi piace concludere questo mio articolo con le parole del direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus: “questa nuova epidemia ha dimostrato che abbiamo bisogno di: fatti, non paura; scienza, non voci; solidarietà, non stigma”.