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Long Covid, cosa è?

Autore: a cura del dott. Carlo Alfaro | Pubblicato Marzo 2021 in Attualità

Per “Long Covid” si intende il complesso insieme di esiti o postumi a lungo termine del Covid-19. I pazienti che ne soffrono vengono definiti “long-haulers” (“portatori a lungo termine”): una volta guariti dalla malattia, continuano a presentare sintomi, disturbi e disagi diversamente intrecciati, variabili nell’espressione clinica e fluttuanti come durata e intensità.
La situazione può protrarsi da 4 a 24 settimane o più. Le sequele sembrano manifestarsi sia in pazienti che hanno avuto un’infezione lieve o moderata sia in coloro che sono stati ricoverati in ospedale per un’infezione grave, sebbene in questa seconda classe l’incidenza di sintomi a lungo termine sia più frequente. La sindrome interesserebbe dal 10% al 20% di tutti i pazienti, ma fino all’80% di chi ha avuto una malattia grave. Secondo uno studio cinese pubblicato su The Lancet, condotto su oltre 1.700 pazienti ammalatisi a Wuhan tra gennaio e maggio 2020, 3 su 4 dei pazienti ricoverati hanno avuto almeno un sintomo fino a 6 mesi più tardi.
Avere più di 5 sintomi nella prima settimana di infezione è stato considerato un fattore di rischio per una convalescenza più lunga. Anche se possono essere colpiti soggetti giovani, precedentemente in forma e in buona salute, fattori di rischio maggiore sono età superiore ai 50 anni, obesità, asma. Il sesso femminile sembra presentare il doppio delle probabilità rispetto agli uomini, ma solo fino a circa 60 anni, quando il livello di rischio diventa simile.
Tra i sintomi riportati nelle varie casistiche: affaticamento e debolezza muscolare, astenia e intolleranza al movimento fisico, febbricola, mal di gola, disfagia, dispnea, tosse, dolore toracico, anosmia, disgeusia, cefalea, disfunzione cognitiva (annebbiamento cerebrale), difficoltà di concentrazione, perdita di memoria, cambiamenti di umore, ansia e depressione, insonnia, dolori articolari, diarrea e vomito, cardiopalmo e palpitazioni, manifestazioni cutanee (rash, geloni, orticaria).
Secondo uno studio dell’Università del Piemonte Orientale e dell’Azienda ospedaliero-universitaria Maggiore della Carità a Novara, pubblicato su Jama Network Open, su 238 pazienti adulti ricoverati dal primo marzo al 29 giugno 2020, a 4 mesi dalla dimissione erano ancora presenti in quote discrete sequele respiratorie (evidenziate dalla misurazione della capacità di diffusione del monossido di carbonio), fisiche (misurate in base alla Short Physical Performance Battery per valutare la mobilità) e psicologiche (riconducibili a sindrome da stress post-traumatico).
Un altro studio dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo pubblicato su Epidemiology & Infection ha seguito 1.562 pazienti (adulti) ricoverati tra febbraio e agosto 2020 sottoponendoli a follow-up tra maggio e ottobre: il 51,4% dei partecipanti mostrava ancora sintomi al momento della valutazione. Tra i più comuni sono stati registrati stanchezza, dispnea da sforzo, palpitazioni, difficoltà a svolgere le normali attività.
Inoltre, il 30,5% stava ancora vivendo conseguenze psicologiche post-traumatiche. Le donne hanno riferito di soffrire di stanchezza in maniera quasi doppia rispetto agli uomini. Una ridotta funzionalità polmonare è stata riscontrata nel 19% dei casi.
Secondo uno studio coordinato dall’Università Statale di Milano e pubblicato sulla rivista Brain Sciences, su 38 pazienti ospedalizzati, a distanza di 5 mesi dalle dimissioni 6 pazienti su 10 hanno avuto rallentamento mentale e ottundimento e 2 su 10 hanno riportato oggettive difficoltà di memoria. Questi disturbi non sono risultati associati a depressione ma sono correlati alla gravità della insufficienza respiratoria durante la fase acuta della malattia. Le alterazioni osservate si riscontrano anche in soggetti giovani.
Il Long Covid può interessare anche i bambini. In uno studio italiano pubblicato in preprint (cioè senza ancora la revisione di esperti) su MedRxiv, a cura del Gemelli di Roma in collaborazione con la Federazione Italiana Medici Pediatri, su una coorte di 129 bambini e adolescenti tra 5 e 18 anni con diagnosi confermata di Covid-19, il 51% aveva almeno un sintomo a distanza di oltre 120 giorni dalla diagnosi e il 20,6% aveva 3 o più sintomi. I problemi più comuni erano dolori muscolari e/o articolari, cefalea, dolore toracico o sensazione di costrizione toracica, palpitazioni e disturbi del sonno. In media, 5 mesi dopo la diagnosi, solo il 42% era completamente asintomatico e circa 1 bambino su 3 aveva ancora almeno un sintomo come cefalea o insonnia. I sintomi sono stati riportati dai genitori attraverso interviste telefoniche e sono stati descritti anche in bambini che non hanno avuto bisogno di ricovero e addirittura erano stati asintomatici.
Non è ancora chiara la patogenesi del Long Covid; è probabile che siano in gioco diversi meccanismi. Innanzitutto, il danno di organo: a carico di polmoni (esiti delle alterazioni anatomo-funzionali della polmonite interstiziale che richiedono settimane o mesi per la riparazione o possono lasciare cicatrici permanenti), cuore (miocarditi, vasculiti coronariche, alterazioni coagulative con trombosi arteriose possono avere impatto su ritmo e funzione cardiaca), rene, sistema nervoso, fegato e tratto gastrointestinale. Sono in gioco anche i meccanismi fisiopatologici alla base dell’encefalomielite mialgica/sindrome da fatica cronica, esito comune di altre malattie virali quali mononucleosi, influenza, Sars, Ebola, causata da un’eccessiva risposta infiammatoria attivata dal virus, probabilmente anche su base autoimmune, che comporta disfunzioni endocrine, metaboliche e funzionali. Non si escludono componenti neuropatologiche legate al disturbo post-traumatico da stress. Infatti, secondo una lettera di ricerca pubblicata su Jama Psychiatry, nei pazienti che hanno presentato il Covid-19 la prevalenza di disturbo da stress post-traumatico è pari al 30,2%. Dati confermati da una revisione sistematica effettuata dalla Società italiana di Psichiatria sugli studi pubblicati sul tema Covid e salute mentale, che conclude che il Covid-19 comporta il rischio di manifestare un disturbo post-traumatico da stress in 1 individuo su 3, mentre tra coloro che hanno subito ventilazione meccanica nelle unità di terapia intensiva fino a 1 su 2 è a rischio di sviluppare disturbi psichiatrici con allucinazioni, ricordi di panico, ansia, episodi di delirium (confusione mentale).
Il Covid-19 purtroppo è una malattia che non smette di sorprenderci e, a più di un anno di distanza dalla sua scoperta, metterci di fronte a nuove insidie e sfide inaspettate.