
L'aumento delle allergie e il ruolo del microbiota

Il numero di soggetti allergici è in costante aumento in tutti i Paesi occidentali. Attualmente, secondo gli ultimi dati della Società Italiana di Allergologia Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC) più di un Italiano su cinque soffre di allergie, ma tra i bambini sotto i 14 anni la prevalenza sale a uno su tre. In particolare il 10% soffre di asma bronchiale, che nell’80% dei casi è di origine allergica, il 18-20% di rinite allergica, circa il 10% di dermatite atopica.
Al 20esimo Congresso Nazionale della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (SIAIP), “Uno sguardo al passato per progettare il futuro”, che si è tenuto a Milano dal 17 al 19 maggio 2018, è stato lanciato l’allarme sul boom di allergie tra i bambini italiani: oltre 2 milioni tra i 6 e i 12 anni, con un aumento dal 10% nel 1950 al 30% tra i bambini e adolescenti di oggi. L’aumento della prevalenza delle allergie è un fenomeno complesso che nasce dall’intersecazione di fattori genetici, che rappresentano la base predisponente, e fattori ambientali, che slatentizzano le manifestazioni cliniche.
Tra le cause della crescita esponenziale di allergie nella popolazione pediatrica nell’ultimo ventennio, sul banco poi dei principali imputati l’inquinamento. L’ultimo dato, il 23 maggio 2018, alla conferenza dell’American International Thoracic Society (ATS), a San Diego in California: i ricercatori canadesi guidati da Teresa To, dell’Hospital for Sick Children di Toronto, hanno presentato un ampio studio su 1881 bambini, seguiti in media per 13 anni, in base al quale l’esposizione all’ozono nella prima infanzia aumenterebbe il rischio di asma e rinite allergica di circa l’80%. L’ozono come è noto riduce l’attività antiossidante dei sistemi cellulari, aumenta i markers infiammatori a livello del tratto respiratorio e altera la crescita dei polmoni.
Tra le altre cause, la “teoria igienica” valorizza la perdita del contatto con la natura dei bambini a causa della massiva urbanizzazione, che modulerebbe lo sviluppo della risposta immunitaria nei confronti degli allergeni anziché dei batteri, con cui non vengono più a contatto. A conferma di ciò, i numerosi studi che hanno dimostrato che tenere un cane o un gatto in casa dalla nascita del bambino può proteggerlo nei confronti delle allergie.
L’ultima prova, in ordine di tempo, da uno studio olandese pubblicato a maggio 2018 su Occupational and Environmental Medicine, che ha mostrato, analizzando i campioni di sangue di circa 2400 adulti residenti nei Paesi Bassi, che chi cresce nelle vicinanze di una fattoria ha il 21% in meno di probabilità di sviluppare allergia. La protezione è risultata più forte per coloro che vivevano vicino a fattorie dove erano allevati suini o bovini, e tra coloro che crescevano proprio all’interno di una fattoria. Commentando questi dati, la dottoressa Grethe Elholm, della Aarhus University in Danimarca, ha dichiarato: “è importante richiamare l’attenzione su alcuni dei possibili effetti negativi dello stile di vita occidentalizzato, come la fissazione per la pulizia”.
Anche l’aumento dei tagli cesarei, notevole negli ultimi due/tre decenni nei Paesi industrializzati, è considerato responsabile dell’aumento di allergie, probabilmente perché attraverso il parto naturale la madre trasferisce i suoi batteri (intestinali e vaginali) a funzione immuno-modulante nell’intestino sterile del neonato (“eredità microbica”). Anche la riduzione della pratica dell’allattamento al seno ha forte responsabilità nell’incremento delle allergie, dato che il latte materno garantisce la prevalenza di batteri intestinali benefici quali lattobacilli e bifidobatteri, con preziose prerogative immunomodulanti. Sospettati anche i farmaci: secondo un ampio studio retrospettivo che ha esaminato 792130, bambini pubblicato quest’anno su Jama Pediatrics e guidato da Edward Mitre dell’Università di Bethesda, l’assunzione di antibiotici e antiacidi nei primi sei mesi di vita sarebbe associata a un incremento del rischio di sviluppare allergie intorno ai cinque anni di età. Probabilmente il meccanismo è ancora una volta un’alterazione del microbiota intestinale.
Il microbiota è dunque in molti casi l’anello di congiunzione tra ambiente e patologia. Il complesso delle diverse centinaia di specie di batteri intestinali rappresenta un vero e proprio “organo” in simbiosi col corpo umano con funzioni protettive (difesa nei confronti di batteri patogeni), metaboliche (produzione di vitamine e sostanze a valore energetico, digestione dei substrati alimentari, abbassamento del pH del lume intestinale che sopprime l’accrescimento di potenziali patogeni e favorisce l’assorbimento) e immunitarie, addestrando il suo primo “interlocutore”, il Tessuto Linfoide Intestinale (Gut-Associated Lymphoid Tissue: GALT) a riconoscere e processare gli antigeni utili (alimenti), contrastare quelli pericolosi (batteri patogeni) e non produrre in modo inappropriato sostanze (citochine) pro-infiammatorie, responsabili di innescare malattie allergiche e autoimmunitarie (es. diabete di tipo 1, malattie infiammatorie croniche intestinali. Tempi e modalità di colonizzazione dell’intestino nei primi tre anni di vita possono rivestire un ruolo importante nella comparsa di patologie legate all’immunità, in quanto le interazioni tra la popolazione batterica e la componente immunitaria della mucosa intestinale durante i primi anni di vita sono essenziali per fornire informazioni e istruzioni necessarie allo sviluppo di un sistema immunitario ben funzionante.
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