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Epilessia, cosa c'è da sapere

Autore: a cura del dott. Salvatore Aiello | Pubblicato Dicembre 2018 in Salute

La parola epilessia deriva dal verbo greco e′πιλαµβa′νειν (epilambanein) che significa “essere sopraffatti, essere colti di sorpresa”. L’epilessia costituisce una patologia neurologica cronica che si esprime in forme molto diverse tra loro, tanto che oggi è più corretto parlare di Epilessie al plurale. È tra le patologie neurologiche più frequenti: si stima che in Italia circa 500.000 persone abbiano un’epilessia in fase attiva. Le epilessia colpiscono tutte le età della vita, ma con una distribuzione non uniforme per età risultando più frequenti nelle prime epoche di vita, nell’infanzia e adolescenza e negli anziani.
Le epilessie sono condizioni cliniche determinate da una disfunzione intermittente del Sistema Nervoso Centrale (SNC) che si manifesta con crisi che si ripetono nel tempo in modo apparentemente spontaneo. La crisi epilettica è un evento parossistico che scaturisce da una scarica anomala, eccessiva, ipersincrona e disordinata di un aggregato di neuroni del SNC. I neuroni sono le più numerose e importanti cellule nervose e comunicano tra loro attraverso scambi biochimici che si traducono poi in correnti elettriche. Quando i neuroni, per qualche ragione, diventano “iperattivi”scaricano impulsi elettrici in modo eccessivo e possono in questo modo provocare una crisi epilettica. Va tuttavia precisato che, sebbene la crisi sia l’evento clinico (visibile) delle epilessie, epilessie e crisi non sono affatto sinonimi. Infatti, specie nell’età evolutiva, sono molto frequenti crisi occasionali che non rientrano nell’ambito dell’epilessia, come ad esempio, le convulsioni febbrili.
La classificazione delle epilessie tiene conto del tipo di crisi epilettiche (crisi focali, crisigeneralizzate e crisi non classificabili) e delle condizioni soggiacenti che possono essere diverse in relazione all’età. Le crisi sono definite focali quando iniziano in una zona circoscritta del cervello da cui possono poi propagarsi ad altre aree cerebrali, mentre sono definite generalizzate quando coinvolgono fin dall’inizio entrambi gli emisferi cerebrali. Le crisi focali non sempre determinano la perdita di coscienza, mentre invece le generalizzate, in genere, si associano a perdita totale della coscienza.
La semeiologia delle crisi dipende poi da quale area del cervello viene interessata dalla scarica anomala: infatti, sebbene nell’immaginario comune la crisi epilettica sia rappresentata dalla crisi convulsiva “tonico-clonica” (in passato definita Grande Male) in cui il paziente perde coscienza improvvisamente, cade a terra irrigidito (fase tonica), dopodiché è colto dascosse su tutto il corpo (fase clonica), può mordersi la lingua e perdere le urine, non tutte le crisi epilettiche sono così eclatanti. Un altro esempio di crisi epilettica è infatti rappresentato dalle “assenze” che consistono in una sospensione della coscienza di breve durata (da 5 a 10 secondi) ad esordio e fine improvvisi. Ma la morfologia delle crisi è talmente variegata che essenzialmente possiamo affermare che qualsiasi cosa il nostro cervello può fare, può farlo sotto forma di crisi epilettica.
In base all’etiologia, l’epilessia è inoltre classificabile in: genetica, strutturale, metabolica, immune, infettiva e da causa sconosciuta.
Le sindromi epilettiche sono distinte entità elettro-cliniche definite in base all’età d’esordio, tipo di crisi, pattern elettroencefalografici, reperti neuroradiologici e alle eventuali comorbidità, come ad esempio la disabilità intellettiva e/o limitazioni motorie. Le encefalopatieepilettiche rappresentano sindromi elettro-cliniche in cui il ripetersi delle crisi, nonché la causa sottostante contribuiscono sia al persistere delle crisi sia al peggioramento cognitivo-comportamentale.
Tra le encefalopatie epilettiche rientrano la Sindrome di West, la Sindrome di Lennox-Gastaut e la Sindrome di Dravet.
La diagnosi di epilessia è soprattutto clinica e viene posta quando il paziente ha presentato almeno due crisi non provocate o riflesse separate da > 24 ore; non è quindi corretto formulare diagnosi di epilessia in presenza di una crisi isolata. Quando esiste il sospetto che certi disturbi siano collegati all’epilessia è necessario rivolgersi al proprio medico curante.
Per facilitare la diagnosi è necessaria una raccolta molto completa delle notizie anamnestiche, spesso con l’ausilio di video domestici che registrano l’evento critico. In seguito si passa all’esecuzione dell’elettroencefalogramma (EEG) effettuabile con varie modalità, che costituisce tuttora l’esame di laboratorio più valido e utilizzato in campo diagnostico.
L’EEG standard è di facile esecuzione, non provoca disagi particolari al paziente, è poco costoso e assolutamente non nocivo. L’EEG registra, attraverso degli elettrodi posti sulla testa del paziente, l’attività elettrica propria del cervello. Fanno parte dell’iter diagnostico dell’epilessia le Neuroimmagini, in particolare la tomografia computerizzata (TC) e soprattutto la Risonanza Magnetica (RM) cerebrale. Per alcune forme di epilessia sono inoltre fondamentali indagini di laboratorio di tipo genetico. Una corretta diagnosi circa il tipo di crisi, la sindrome elettro-clinica e l’etiologia è di fondamentale importanza nella scelta del trattamento.
La terapia delle epilessie va intrapresa in presenza di crisi di sicura natura epilettica che tendono a ripetersi e si basa, in prima linea, sull’utilizzo dei farmaci antiepilettici (FAE). Ad oggi, abbiamo a disposizione un gran numero di FAE, ma premessa fondamentale per la buona riuscita del trattamento è l’affidabilitàe la collaborazione del paziente e dei suoi familiari. La terapia antiepilettica va infatti assunta con regolarità e va in genere protratta per diversi anni, senza interruzione, e quotidianamente assunta in 2 o 3 dosi ad intervalli regolari. Il paziente ed i familiari vanno inoltre correttamente istruiti sui possibili effetti collaterali dei farmaci somministrati. Soprattutto all’inizio della terapia è buona norma controllare le analisi del sangue di routine e verificare il livello plasmatico del farmaco. Il trattamento con i farmaci antiepilettici può essere sospeso dopo un periodo di almeno due anni di libertà da crisi epilettiche: la decisione di sospendere la terapia deve ovviamente essere presa dal medico previa discussione con il paziente stesso e deve essere sempre graduale.
Si considera “risolta” l’epilessia nei soggetti che sono rimasti liberi da crisi negli ultimi 10 anni in assenza di farmaci antiepilettici per almeno gli ultimi 5 anni. Sebbene con la terapia farmacologica si riescano a risolvere un gran numero di epilessie, circa un 30% dei pazienti presentano forme di epilessia “farmacoresistente”. Può essere definito “farmacoresistente”un paziente che continua ad avere crisi pur avendo provato almeno due farmaci specifici per quel tipo di epilessia, somministrati alla dose giusta e per un adeguato periodo, in monoterapia o in associazione. In circa il 10% di questi pazienti può essere presa in considerazione l’ipotesi di un intervento neurochirurgico. Tra gli altri trattamenti di natura non farmacologica vanno menzionati (e approfonditi in successivi articoli) la stimolazione vagale e la dieta chetogenica.
Per concludere questo accenno alle epilessie, che rappresentano un capitolo enorme della neurologia, è bene dare qualche consiglio pratico su come comportarsi nel caso si assista ad una crisi epilettica. Nella maggior parte dei casi quello che bisogna fare è limitarsi a vigilare la persona che sta avendo la crisi: le crisi epilettiche tengono generalmente ad auto-risolversi nel giro di secondi o minuti e non costituiscono un pericolo particolare, eccetto nel caso in cui la durata della crisi sia oltremodo prolungata. Nel caso di crisi epilettica di tipo tonico-clonico, che rappresenta l’evento parossistico più drammatico, bisogna cercare di evitare la caduta al suolo del soggetto. Tuttavia, poiché la crisi è improvvisa, tale accorgimento è raramente attuabile. Se quindi il soggetto è già a terra bisogna cercare di porre sotto al capo qualcosa di morbido in modo che durante la convulsione non continui a battere ripetutamente la testa sulla superficie dura. Terminate le scosse, è utile slacciare colletto della camicia o della maglia e ruotare la testa di lato per favorire la fuoriuscita di saliva e permettere una respirazione regolare. Una volta terminata la crisi il soggetto ha bisogno di riprendersi con calma.
Se queste sono le uniche manovre utili, bisogna evidenziare soprattutto cosa “non fare”:
• non tentare di aprire la bocca per impedire il morso della lingua o perevitarne il rovesciamento;
• non tentare di inserire in bocca oggetti morbidi o rigidi;
• non bloccare braccia e gambe;
• non somministrare acqua, farmaci o cibo.