Kawasaki: viene dal Giappone la malattia che aggredisce il cuore dei bambini
La malattia di Kawasaki (MK) è stata descritta per la prima volta nel 1967 in Giappone dal pediatra Tomisaku Kawasaki, da cui prende il nome. Il medico studiò un caso di un bambino di 4 anni che lamentava febbre da oltre 15 giorni, labbra arrossate, lingua a fragola, iperemia orofaringea, eritema diffuso con desquamazione di mani e piedi, gonfiore delle ghiandole linfatiche del collo. Dai sintomi principali fu tratto anche il nome di Sindrome Linfonodale Mucocutanea. Si tratta di una vasculite infantile febbrile che colpisce le arterie di media e piccola dimensione di tutto il corpo, con particolare aggressività sulle coronarie, le arterie del cuore, che a causa dell’infiammazione possono andare incontro in alcuni tratti a dilatazioni (aneurismi).
Pur diffusa in tutto il mondo, la MK è più comune nei bambini asiatici, soprattutto giapponesi, e molto rara nella razza negra. L’incidenza è maggiore in tardo inverno e inizio primavera. Sono più colpiti i maschi (1,5:1 rispetto alle femmine). Interessa bambini da 0 a 8 anni, soprattutto sotto i 4-5 anni (80%) e in particolare il 50% dei casi è sotto i 2 anni con picco a 9-11 e 18-24 mesi; solo il 2-10% dei bambini colpiti è sotto i 6 mesi. E’ rara in lattanti sotto i 4 mesi e negli adolescenti. Rappresenta per frequenza la seconda vasculite infantile dopo la porpora di Schonlein-Henoch. Ogni anno negli Stati Uniti vengono diagnosticati da 3000 a 5000 casi. In Italia l’incidenza è di 14 bambini ogni 100.000 per anno. La causa della MK è ancora sconosciuta. Probabilmente, si tratta di una risposta immunologica anomala a un’infezione, in bambini geneticamente predisposti. L’esistenza di epidemie di MK e la loro diffusione a ondate suggeriscono che la malattia sia dovuta a un agente microbico, ma non è mai stato dimostrato contagio da persona a persona. Spesso la MK fa seguito a forme virali come mononucleosi infettiva, Parvovirus B-19 (quinta malattia), o batteriche (streptococchi e stafilococchi). Le tossine microbiche, come la tossina streptococcica e quella stafilococcica, potrebbero agire da superantigeni scatenando la reazione infiammatoria. Altri possibili fattori scatenanti ipotizzati sono intossicazioni (es. mercurio), allergie, malattie autoimmuni. La componente genetica è dimostrata dalla maggiore incidenza della malattia nei fratelli e soprattutto nei gemelli, e nei figli di genitori che hanno avuto la malattia nell’infanzia.
Dal punto di vista anatomo-patologico, il maggior rischio della vasculite di Kawasaki deriva dal coinvolgimento delle arterie coronariche, che avviene nel 20% circa dei pazienti non trattati: le conseguenze possono essere miocardite con insufficienza cardiaca, aritmie, endocardite e pericardite o, in caso di aneurisma gigante (> 8 mm di diametro all’ecocardiografia) tamponamento cardiaco, trombosi o infarto.
La malattia di Kawasaki è la prima causa di malattia cardiaca acquisita nei bambini. Si può infiammare anche il tessuto extravascolare: vie respiratorie, pancreas, vie biliari, reni, mucose, linfonodi. Sintomo cardine è la febbre molto elevata (39-41 °C) resistente al trattamento antibiotico e ai farmaci antipiretici, della durata di più di cinque giorni, con aspetto sofferente, settico, e vari altri sintomi (che possono presentarsi non tutti simultaneamente) quali: congiuntivite bilaterale con arrossamento degli occhi senza secrezione, alterazioni delle labbra e della bocca (arrossamento, secchezza, fissurazioni, croste, lingua a fragola o violacea, faringite), eruzione cutanea pruriginosa (simile a morbillo o scarlattina oppure orticaria o polimorfa tipo eritema multiforme, con distribuzione prima sul tronco e nella zona addominale e inguinale, poi sugli arti e tutto il corpo), anomalie delle estremità (eritema del palmo delle mani e della pianta dei piedi color rosso porpora, edema duro al dorso delle mani e dei piedi, tumefazioni fusiformi delle dita, arrossamento e desquamazione dell’area del pannolino, pallore della parte prossimale delle unghie delle mani e dei piedi; durante la seconda settimana di malattia, desquamazione lamellare delle dita delle mani e dei piedi, a partenza dalla regione intorno alle unghie: lo strato cutaneo superficiale si distacca a grosse falde, tumefazione dei linfonodi del collo (monolaterale), di consistenza dura e dolente alla palpazione. Altri sintomi possono essere: irritabilità, letargia, anoressia, vomito, diarrea, dolori addominali di tipo colico intermittente, interessamento del fegato (epatite), idrope della colecisti, dolori articolari, soprattutto a carico delle grosse articolazioni (artrite o artralgie si verificano in circa il 33% dei pazienti), uretriti, meningiti asettiche, otiti, uveite anteriore, convulsioni, perdita di conoscenza, paralisi del facciale, paralisi degli arti; una presentazione atipica è il versamento pleurico.
La malattia tende a progredire per stadi evolvendo in tre fasi principali. La fase iniziale (acuta febbrile), della durata di 14-30 giorni, inizia con febbre molto elevata; generalmente entro uno o due giorni appare la congiuntivite, verso il terzo-quinto giorno compaiono le alterazioni delle mani e dei piedi, entro 5-10 giorni l’eruzione cutanea e le lesioni della mucosa oro- faringea. Durante tutto il decorso è presente nel 50% circa dei pazienti la linfoadenopatia cervicale. Nella fase sub-acuta, che inizia in genere dopo 1-4 settimane dall’esordio e dura 2-4 settimane, cominciano a regredire la febbre, l’eruzione e gli altri sintomi acuti precoci e inizia una desquamazione periungueale di mani e piedi e perineale, associata spesso a trombocitosi (eccesso di piastrine nel sangue). In questa fase possono verificarsi le pericolose alterazioni cardiache. La terza fase, di convalescenza, caratterizzata da scomparsa dei segni clinici e presenza dei solchi ungueali trasversi caratteristici (linee di Beau), si protrae per circa tre mesi, al termine dei quali possono permanere solo i disturbi cardiaci. Circa il 2% dei pazienti ha recidive, mesi o anni più tardi. La diagnosi della MK è solo clinica, non esiste un test di laboratorio specifico.
Per fare diagnosi deve essere presente febbre elevata, continua, per più di 5 giorni, non responsiva agli antibiotici e almeno 4 di questi 5 criteri clinici: iperemia congiuntivale bilaterale e senza essudazione; lesioni buccali; rash; edema e/o eritema e/o desquamazione delle estremità; linfoadenomegalia laterocervicale monolaterale con almeno 1 linfonodo ≥ 1,5 cm di diametro. Anche la presenza di solo 3 dei criteri oltre la febbre può essere sufficiente quando siano associati ad aneurisma coronarico, diagnosticato con ecocardiografia bidimensionale. Si parla di forma incompleta se presenti solo 2 o 3 sintomi, atipica se presenti sintomi diversi e insoliti. Anche i bambini con forma atipica o incompleta possono comunque sviluppare aneurismi coronarici. Sono comuni reperti di laboratorio: leucocitosi neutrofila, aumento di VES e PCR, aumento di AST e ALT, aumento del fibrinogeno, lieve anemia, ipoalbuminemia, aumento delle gammaglobuline, nelle urine proteinuria e leucocituria; piastrinosi nella seconda-terza settimana. ECG ed ecocardiogramma, dato che l’interessamento cardiaco può comparire tardivamente, vanno ripetuti a 2-3, 6-8 settimane e anche a 6-12 mesi dall’esordio. Diagnosi differenziale va posta con morbillo, scarlattina, shock tossico, avvelenamento da mercurio, artrite reumatoide giovanile, infezioni da Enterovirus, leptospirosi, rickettsiosi, reazioni a farmaci (Sindrome di Stevens-Johnson). Le complicanze cardiache si verificano nel 5-25% dei casi non trattati (mentre in meno del 5% dei pazienti sottoposti alla terapia). La lunga durata della febbre aumenta il rischio cardiaco. La mortalità è dell’1-2%. Oltre il 50% delle morti si verifica entro 1 mese dall’esordio, il 75% entro 2 mesi, il 95% entro 6 mesi ma può verificarsi anche 10 anni più tardi. Segni prognostici negativi comprendono: sesso maschile, età minore di 1 anno, febbre per più di 10 giorni non trattata, bassi livelli di albumina ed emoglobina, segni clinici di interessamento cardiaco. I bambini in cui l’ecocardiografia non mostra danni delle coronarie entro 12 mesi non avranno rischi di problemi cardiaci nel futuro, benché alcune ricerche suggeriscano maggiore predisposizione all’ipertensione. Nei bambini che hanno avuto un interessamento delle coronarie, il 50-67% degli aneurismi coronarici scompare entro 1-2 anni dall’inizio della malattia, soprattutto in caso di aneurismi piccoli, mentre gli aneurismi coronarici giganti regrediscono meno frequentemente.
La terapia della MK punta a contrastare l’infiammazione e prevenire la trombosi delle coronarie. Essa si basa sulla combinazione di immunoglobuline per via endovenosa (Ig EV) in singola dose di 2 g/kg in 10-12 h e aspirina per via orale ad dosaggio antinfiammatorio, alto (80 mg/kg/die) o medio (30-50 mg/kg/die), a seconda delle diverse linee-guida, in 4 somministrazioni, ogni 4-6 ore. La terapia va iniziata il più presto possibile, entro i primi 10 giorni di malattia (preferibilmente entro il settimo). La maggior parte dei pazienti ha una risposta significativa nelle prime 24 h dall’inizio della terapia. Quando la febbre persiste o riprende dopo 36 ore dal termine dell’infusione, è possibile somministrare una seconda dose di Ig EV da 2g/kg. Trattandosi di prodotti biologici, le Ig EV sono associate al rischio (molto basso) di epatite B e C e HIV; di recente è stata dimostrata anche la possibilità di trasmissione di Parvovirus B19. Possono causare febbre, brividi, vampate di calore, rash, raramente anafilassi (grave in soggetti con deficit di IgA), trombosi in pazienti con sindromi da ipercoagulabilità. Il dosaggio dell’aspirina viene ridotto a 3-5 mg/kg 1 volta/die (dosaggio anti-aggregante) dopo che il bambino è apiretico da 4-5 giorni o almeno dopo il 14esimo giorno di malattia. Questa terapia va continuata per almeno 8 settimane. Se non ci sono aneurismi coronarici e i segni dell’infiammazione sono regrediti (Ves e conta piastrinica), l’aspirina può essere interrotta, mentre va continuata al dosaggio antitrombotico a tempo indefinito nei bambini con alterazioni coronariche.
I bambini con aneurismi coronarici giganti possono richiedere una terapia anticoagulante aggiuntiva (es., warfarin, dipiridamolo). I bambini che ricevono Ig EV devono procastinare i vaccini con virus vivi come anti-morbillo-parotite-rosolia e varicella di almeno 11 mesi. I bambini in terapia con aspirina sono a rischio di sindrome di Reye (una grave encefalopatia ed epatopatia) se contraggono influenza o varicella; in caso di queste malattie l’aspirina può essere sostituita con dipiridamolo. Quando il paziente non risponde alla cura standard, secondo step è l’infliximab, un anticorpo monoclonale, che si usa per via endovenosa in bambini al di sopra dei 3 anni.
Per quanto riguarda l’attività sportiva, non ci sono restrizioni per i pazienti senza dilatazione coronarica o con dilatazione transitoria, mentre in caso di alterazione permanente sono necessari test di funzionalità cardio-vascolare. Il trapianto cardiaco è indicato in caso di una grave alterazione della funzionalità del ventricolo sinistro, secondaria a infarto del miocardio, o in caso di estesa malattia coronarica distale, che renda impossibile la creazione di un bypass, o in pazienti a rischio di grave infarto del miocardio o di morte improvvisa per aritmia ventricolare. Attualmente si propone di rivedere le indicazioni sul dosaggio iniziale dell’aspirina, dato che almeno una decina di studi randomizzati controllati dimostrano come non ci sia alcun vantaggio a somministrare in acuto, assieme alle gammaglobuline, una dose di aspirina antinfiammatoria ((30, 50, 80 o 100 mg/kg) rispetto a una dose antiaggregante dieci volte più piccola (3-5 mg/kg).
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