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Kawasaki: viene dal Giappone la malattia che aggredisce il cuore dei bambini

Autore: Dott. Carlo Alfaro | Pubblicato Settembre 2018 in Salute

La malattia di Kawasaki (MK) è stata descritta per la prima volta nel 1967 in Giappone dal pedia­tra Tomisaku Kawasaki, da cui prende il nome. Il medico studiò un caso di un bambino di 4 anni che lamentava febbre da oltre 15 giorni, labbra arrossa­te, lingua a fragola, iperemia orofaringea, eritema diffuso con desquamazione di mani e piedi, gonfiore delle ghiandole linfatiche del collo. Dai sintomi prin­cipali fu tratto anche il nome di Sindrome Linfono­dale Mucocutanea. Si tratta di una vasculite infantile febbrile che colpisce le arterie di media e piccola dimensione di tutto il corpo, con particolare aggres­sività sulle coronarie, le arterie del cuore, che a cau­sa dell’infiammazione possono andare incontro in alcuni tratti a dilatazioni (aneurismi).
Pur diffusa in tutto il mondo, la MK è più comune nei bambini asiatici, soprattutto giapponesi, e molto rara nella razza negra. L’incidenza è maggiore in tar­do inverno e inizio primavera. Sono più colpiti i ma­schi (1,5:1 rispetto alle femmine). Interessa bambini da 0 a 8 anni, soprattutto sotto i 4-5 anni (80%) e in particolare il 50% dei casi è sotto i 2 anni con picco a 9-11 e 18-24 mesi; solo il 2-10% dei bambini colpiti è sotto i 6 mesi. E’ rara in lattanti sotto i 4 mesi e negli adolescenti. Rappresenta per frequenza la seconda vasculite infantile dopo la porpora di Schonlein-He­noch. Ogni anno negli Stati Uniti vengono diagno­sticati da 3000 a 5000 casi. In Italia l’incidenza è di 14 bambini ogni 100.000 per anno. La causa della MK è ancora sconosciuta. Probabilmente, si tratta di una risposta immunologica anomala a un’infezione, in bambini geneticamente predisposti. L’esistenza di epidemie di MK e la loro diffusione a ondate sugge­riscono che la malattia sia dovuta a un agente mi­crobico, ma non è mai stato dimostrato contagio da persona a persona. Spesso la MK fa seguito a forme virali come mononucleosi infettiva, Parvovirus B-19 (quinta malattia), o batteriche (streptococchi e sta­filococchi). Le tossine microbiche, come la tossina streptococcica e quella stafilococcica, potrebbero agire da superantigeni scatenando la reazione in­fiammatoria. Altri possibili fattori scatenanti ipotizza­ti sono intossicazioni (es. mercurio), allergie, malattie autoimmuni. La componente genetica è dimostrata dalla maggiore incidenza della malattia nei fratelli e soprattutto nei gemelli, e nei figli di genitori che han­no avuto la malattia nell’infanzia.
Dal punto di vista anatomo-patologico, il mag­gior rischio della vasculite di Kawasaki deriva dal coinvolgimento delle arterie coronariche, che avvie­ne nel 20% circa dei pazienti non trattati: le conse­guenze possono essere miocardite con insufficienza cardiaca, aritmie, endocardite e pericardite o, in caso di aneurisma gigante (> 8 mm di diametro all’eco­cardiografia) tamponamento cardiaco, trombosi o infarto.
La malattia di Kawasaki è la prima causa di ma­lattia cardiaca acquisita nei bambini. Si può infiam­mare anche il tessuto extravascolare: vie respiratorie, pancreas, vie biliari, reni, mucose, linfonodi. Sintomo cardine è la febbre molto elevata (39-41 °C) resisten­te al trattamento antibiotico e ai farmaci antipiretici, della durata di più di cinque giorni, con aspetto sof­ferente, settico, e vari altri sintomi (che possono pre­sentarsi non tutti simultaneamente) quali: congiun­tivite bilaterale con arrossamento degli occhi senza secrezione, alterazioni delle labbra e della bocca (arrossamento, secchezza, fissurazioni, croste, lin­gua a fragola o violacea, faringite), eruzione cutanea pruriginosa (simile a morbillo o scarlattina oppure orticaria o polimorfa tipo eritema multiforme, con di­stribuzione prima sul tronco e nella zona addomina­le e inguinale, poi sugli arti e tutto il corpo), anomalie delle estremità (eritema del palmo delle mani e della pianta dei piedi color rosso porpora, edema duro al dorso delle mani e dei piedi, tumefazioni fusiformi delle dita, arrossamento e desquamazione dell’area del pannolino, pallore della parte prossimale delle unghie delle mani e dei piedi; durante la seconda settimana di malattia, desquamazione lamellare del­le dita delle mani e dei piedi, a partenza dalla regione intorno alle unghie: lo strato cutaneo superficiale si distacca a grosse falde, tumefazione dei linfonodi del collo (monolaterale), di consistenza dura e dolente alla palpazione. Altri sintomi possono essere: irritabi­lità, letargia, anoressia, vomito, diarrea, dolori addo­minali di tipo colico intermittente, interessamento del fegato (epatite), idrope della colecisti, dolori arti­colari, soprattutto a carico delle grosse articolazioni (artrite o artralgie si verificano in circa il 33% dei pa­zienti), uretriti, meningiti asettiche, otiti, uveite ante­riore, convulsioni, perdita di conoscenza, paralisi del facciale, paralisi degli arti; una presentazione atipica è il versamento pleurico.
La malattia tende a progredire per stadi evolven­do in tre fasi principali. La fase iniziale (acuta feb­brile), della durata di 14-30 giorni, inizia con febbre molto elevata; generalmente entro uno o due giorni appare la congiuntivite, verso il terzo-quinto giorno compaiono le alterazioni delle mani e dei piedi, entro 5-10 giorni l’eruzione cutanea e le lesioni della mu­cosa oro- faringea. Durante tutto il decorso è presen­te nel 50% circa dei pazienti la linfoadenopatia cervi­cale. Nella fase sub-acuta, che inizia in genere dopo 1-4 settimane dall’esordio e dura 2-4 settimane, cominciano a regredire la febbre, l’eruzione e gli al­tri sintomi acuti precoci e inizia una desquamazione periungueale di mani e piedi e perineale, associata spesso a trombocitosi (eccesso di piastrine nel san­gue). In questa fase possono verificarsi le pericolose alterazioni cardiache. La terza fase, di convalescenza, caratterizzata da scomparsa dei segni clinici e pre­senza dei solchi ungueali trasversi caratteristici (li­nee di Beau), si protrae per circa tre mesi, al termine dei quali possono permanere solo i disturbi cardiaci. Circa il 2% dei pazienti ha recidive, mesi o anni più tardi. La diagnosi della MK è solo clinica, non esiste un test di laboratorio specifico.
Per fare diagnosi deve essere presente febbre elevata, continua, per più di 5 giorni, non responsiva agli antibiotici e almeno 4 di questi 5 criteri clinici: iperemia congiuntivale bilaterale e senza essuda­zione; lesioni buccali; rash; edema e/o eritema e/o desquamazione delle estremità; linfoadenomegalia laterocervicale monolaterale con almeno 1 linfono­do ≥ 1,5 cm di diametro. Anche la presenza di solo 3 dei criteri oltre la febbre può essere sufficiente quan­do siano associati ad aneurisma coronarico, diagno­sticato con ecocardiografia bidimensionale. Si parla di forma incompleta se presenti solo 2 o 3 sintomi, atipica se presenti sintomi diversi e insoliti. Anche i bambini con forma atipica o incompleta possono comunque sviluppare aneurismi coronarici. Sono comuni reperti di laboratorio: leucocitosi neutrofila, aumento di VES e PCR, aumento di AST e ALT, aumen­to del fibrinogeno, lieve anemia, ipoalbuminemia, aumento delle gammaglobuline, nelle urine protei­nuria e leucocituria; piastrinosi nella seconda-terza settimana. ECG ed ecocardiogramma, dato che l’in­teressamento cardiaco può comparire tardivamente, vanno ripetuti a 2-3, 6-8 settimane e anche a 6-12 mesi dall’esordio. Diagnosi differenziale va posta con morbillo, scarlattina, shock tossico, avvelenamento da mercurio, artrite reumatoide giovanile, infezioni da Enterovirus, leptospirosi, rickettsiosi, reazioni a farmaci (Sindrome di Stevens-Johnson). Le compli­canze cardiache si verificano nel 5-25% dei casi non trattati (mentre in meno del 5% dei pazienti sottopo­sti alla terapia). La lunga durata della febbre aumen­ta il rischio cardiaco. La mortalità è dell’1-2%. Oltre il 50% delle morti si verifica entro 1 mese dall’esor­dio, il 75% entro 2 mesi, il 95% entro 6 mesi ma può verificarsi anche 10 anni più tardi. Segni prognostici negativi comprendono: sesso maschile, età minore di 1 anno, febbre per più di 10 giorni non trattata, bassi livelli di albumina ed emoglobina, segni clinici di inte­ressamento cardiaco. I bambini in cui l’ecocardiogra­fia non mostra danni delle coronarie entro 12 mesi non avranno rischi di problemi cardiaci nel futuro, benché alcune ricerche suggeriscano maggiore pre­disposizione all’ipertensione. Nei bambini che hanno avuto un interessamento delle coronarie, il 50-67% degli aneurismi coronarici scompare entro 1-2 anni dall’inizio della malattia, soprattutto in caso di aneu­rismi piccoli, mentre gli aneurismi coronarici giganti regrediscono meno frequentemente.
La terapia della MK punta a contrastare l’infiam­mazione e prevenire la trombosi delle coronarie. Essa si basa sulla combinazione di immunoglobuline per via endovenosa (Ig EV) in singola dose di 2 g/kg in 10-12 h e aspirina per via orale ad dosaggio antin­fiammatorio, alto (80 mg/kg/die) o medio (30-50 mg/kg/die), a seconda delle diverse linee-guida, in 4 somministrazioni, ogni 4-6 ore. La terapia va iniziata il più presto possibile, entro i primi 10 giorni di ma­lattia (preferibilmente entro il settimo). La maggior parte dei pazienti ha una risposta significativa nelle prime 24 h dall’inizio della terapia. Quando la febbre persiste o riprende dopo 36 ore dal termine dell’in­fusione, è possibile somministrare una seconda dose di Ig EV da 2g/kg. Trattandosi di prodotti biologici, le Ig EV sono associate al rischio (molto basso) di epa­tite B e C e HIV; di recente è stata dimostrata anche la possibilità di trasmissione di Parvovirus B19. Pos­sono causare febbre, brividi, vampate di calore, rash, raramente anafilassi (grave in soggetti con deficit di IgA), trombosi in pazienti con sindromi da ipercoagu­labilità. Il dosaggio dell’aspirina viene ridotto a 3-5 mg/kg 1 volta/die (dosaggio anti-aggregante) dopo che il bambino è apiretico da 4-5 giorni o almeno dopo il 14esimo giorno di malattia. Questa terapia va continuata per almeno 8 settimane. Se non ci sono aneurismi coronarici e i segni dell’infiammazione sono regrediti (Ves e conta piastrinica), l’aspirina può essere interrotta, mentre va continuata al dosaggio antitrombotico a tempo indefinito nei bambini con alterazioni coronariche.
I bambini con aneurismi coronarici giganti posso­no richiedere una terapia anticoagulante aggiuntiva (es., warfarin, dipiridamolo). I bambini che ricevono Ig EV devono procastinare i vaccini con virus vivi come anti-morbillo-parotite-rosolia e varicella di almeno 11 mesi. I bambini in terapia con aspirina sono a ri­schio di sindrome di Reye (una grave encefalopatia ed epatopatia) se contraggono influenza o varicel­la; in caso di queste malattie l’aspirina può essere sostituita con dipiridamolo. Quando il paziente non risponde alla cura standard, secondo step è l’inflixi­mab, un anticorpo monoclonale, che si usa per via endovenosa in bambini al di sopra dei 3 anni.
Per quanto riguarda l’attività sportiva, non ci sono restrizioni per i pazienti senza dilatazione coronarica o con dilatazione transitoria, mentre in caso di altera­zione permanente sono necessari test di funzionalità cardio-vascolare. Il trapianto cardiaco è indicato in caso di una grave alterazione della funzionalità del ventricolo sinistro, secondaria a infarto del miocar­dio, o in caso di estesa malattia coronarica distale, che renda impossibile la creazione di un bypass, o in pazienti a rischio di grave infarto del miocardio o di morte improvvisa per aritmia ventricolare. Attual­mente si propone di rivedere le indicazioni sul dosag­gio iniziale dell’aspirina, dato che almeno una decina di studi randomizzati controllati dimostrano come non ci sia alcun vantaggio a somministrare in acuto, assieme alle gammaglobuline, una dose di aspirina antinfiammatoria ((30, 50, 80 o 100 mg/kg) rispetto a una dose antiaggregante dieci volte più piccola (3-5 mg/kg).