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Vaccinarsi contro il Covid-19

Autore: a cura del dott. Carlo Alfaro | Pubblicato Agosto 2020 in Salute

Trovare un vaccino contro SARS-CoV-2 è l’unica soluzione definitiva contro la pandemia da Covid 19 che ha profondamente segnato la vita sul Pianeta a partire dal 2020, per cui la ricerca vi sta puntando quale obiettivo prioritario per la salute mondiale. Il virus è stato sequenziato in Cina l’11 gennaio, e già il 16 marzo sono partiti i primi test di laboratorio per il vaccino. Fortunatamente, dall’analisi dei genomi di ceppi di SARS-CoV-2 isolati in Cina, Europa e USA, è emerso che il virus muta poco e questo rende più facile la collaborazione internazionale per mettere a punto farmaci e vaccini. I ricercatori di tutto il mondo sono impegnati in uno sforzo congiunto senza precedenti nella storia della Medicina, collaborando con scambio di informazioni e analisi nel disperato tentativo di comprimere al massimo i tempi per la realizzazione.
Lo sviluppo di un vaccino contro un agente infettivo è usualmente un processo lungo, complesso e impegnativo che può richiedere anche 10-20 anni e non sempre va a buon fine. Si parte dalla conoscenza della struttura e dei meccanismi patogenetici del microbo, per cercare di individuare la molecola da inserire nel vaccino capace di stimolare nell’organismo in cui lo si somministra una risposta immunitaria efficace e protettiva e nello stesso tempo di non nuocere. Prima di essere distribuito su larga scala, il vaccino passa attraverso vari stadi: sperimentazione pre-clinica, con studi in vitro e su modelli animali per definire sicurezza ed efficacia, quindi si passa a provarlo sull’uomo (fase degli studi clinici) attraverso un percorso che si svolge a sua volta in quattro fasi: negli studi di fase 1 il vaccino viene somministrato a un gruppo ristretto di persone sane per valutarne innanzitutto la tollerabilità (effetti tossici) e dunque la sicurezza, inoltre il dosaggio e la risposta del sistema immunitario; se i riscontri sono positivi le stesse valutazioni vengono fatte, nella seconda fase, su una coorte più ampia divisa per fasce d’età: bambini, adulti e anziani, confrontando effetti collaterali e immunogeni a vari dosaggi e intervalli di somministrazione; negli studi di fase 3 viene provata l’efficacia e sicurezza della dose individuata come più opportuna, su larga scala (decine di migliaia di persone, rappresentative dell’intera popolazione), con test randomizzati e controllati; infine gli studi di fase 4, dopo l’approvazione del vaccino che si è rivelato più efficace, consistono nel monitoraggio in corso di commercializzazione del prodotto e dunque in condizioni non sperimentali.
Lo sprint della ricerca per accelerare il più possibile tutte queste fasi nel caso del vaccino per il Covid-19, anche se non sappiamo se si riuscirà nell’intento, produrrà comunque dei cambiamenti nel campo della vaccinologia che modificheranno in futuro l’approccio a un nuovo vaccino. Attualmente sono allo studio contro il SARS-CoV- 2 qualcosa oltre 160 i candidati vaccini, secondo quanto riporta l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 23 dei quali si stanno sperimentando sull’uomo in studi clinici in tutto il mondo, e 3 sono arrivati alla fase 3 dei test. Obiettivo dei vaccini anti-Covid è indurre una risposta anticorpale, attraverso i linfociti B (anticorpi neutralizzanti) e cellulare, tramite quelli T, contro la proteina S (Spike) presente sulla superficie del virus e necessaria per l’aggancio ai recettori che gli permettono l’ingresso nelle cellule. Questa proteina, essendo essenziale al virus per infettare l’uomo, non è soggetta a mutazioni e quindi i vaccini che puntano a sviluppare una risposta diretta contro di essa dovrebbero essere efficaci e duraturi.
Diversi sono gli approcci tentati dai ricercatori. Alcuni dei vaccini in studio sono “inattivati”, come il “PiCoVacc” studiato in USA e il “CoronaVac” sviluppato a Pechino dalla SinoVac Biotech. Per quanto riguarda il PiCoVacc, è stato messo a punto dall’Università di Pittsburgh, che già nel 2003 sviluppò il vaccino per la SARS senza poterlo sperimentare a causa della scomparsa improvvisa della malattia. Viene chiamato “vaccino-cerotto” in quanto si tratta di un vaccino basato su frammenti di proteine Spike del virus coltivato in laboratorio, che tramite 400 micro-aghi di un cerotto vengono iniettati nella pelle, dove stimolano potentemente la reazione immunitaria dell’organismo. Inoltre, sembra che l’alluminio usato come adiuvante - sostanza che si aggiunge al vaccino per favorire la risposta del sistema immunitario - stimoli la produzione di anticorpi neutralizzanti.
Il vaccino cinese CoronaVac è entrato nella fase 3 di sperimentazione in Brasile, Paese estesamente colpito dalla pandemia: saranno somministrate due dosi a centinaia di operatori sanitari in 6 Stati brasiliani; è l’ultimo passo prima della definitiva approvazione. Altri vaccini allo studio sono a sub- unità/purificati, contenenti proteine ricombinanti, es. il NVX-CoV2373 o l’SCB-2019 o il Coronavirus-Like Particle COVID-19 Vaccine. Altri sono vaccini vettoriali, in cui un adenovirus inattivato esprime la proteina Spike del SARS-CoV-2, recandola nell’organismo per stimolarne la risposta immunitaria, come fosse un “cavallo di Troia”, es. il cinese Ad5-nCoV (prodotto dalla ditta cinese CanSino Bio, usa come vettore Adenovirus tipo 5 e ha dimostrato in studi di fase 3 di stimolare attivamente la produzione di anticorpi; sarà sperimentato per un anno esclusivamente sui militari cinesi) e AZD1222 o ChAdOx1 nCoV-19 (il vaccino sviluppato dallo Jenner Institute dell’Università di Oxford in collaborazione con l’azienda italiana Advent- Irbm di Pomezia, che sarà distribuito dalla multinazionale AstraZeneca). Quest’ultimo vaccino, anglo- italiano, è basato su un modello già provato dagli studiosi inglesi contro SARS e MERS. Con una sensazionale accelerazione, che ha portato in quattro mesi a risultati che normalmente richiedono cinque anni, grazie al lavoro giorno e notte di tutti i ricercatori del Jenner Institute, si è riusciti a inserire il gene della proteina Spike del SARS-CoV-2 all’interno di un adenovirus. Attualmente il vaccino è arrivato alla fase 3 della sperimentazione clinica, dopo i test di sicurezza su 1000 persone nel Regno Unito (fase 1) e l’ampliamento a 10.000 persone divise per fasce d’età (fase 2), coinvolgendo ora 30-40.000 persone in 4 Paesi del mondo.
Uno studio uscito su Lancet dimostra che sta fornendo risultati estremamente promettenti, con il quadruplicarsi degli anticorpi nel 95% dei soggetti a un mese dalla vaccinazione, inoltre potrebbe fornire una protezione anche da parte delle cellule T killer. La risposta immunitaria risultava ancora presente a fine osservazione, dopo 56 giorni dalla somministrazione del vaccino. Il vaccino è risultato sicuro, senza effetti collaterali gravi. La risposta migliore è stata registrata tra i partecipanti che hanno ricevuto due dosi. Se il vaccino si confermerà efficace, AstraZeneca sta organizzando a livello globale una produzione imponente; grazie a un contratto sottoscritto con Italia, Germania, Francia e Olanda, vengono garantite 400 milioni di dosi per la popolazione europea. Comunque la distribuzione di massa non è prevista prima del 2021. Ci sono poi vaccini a cellule ricombinanti, es. LV-SMENP-DC e Covid-19/aAPC, in cui un lentivirus che esprime un minigene sintetico a base di estratti di proteine virali del SARS-CoV-2 funge da vettore per modificare le cellule dendritiche, o bacTRL-Spike, che usa un batterio geneticamente modificato, il bifidobacterium longum dell’intestino umano, in cui è stato inserito un plasmide di DNA che contiene la sequenza di DNA della proteina Spike.
Infine, ci sono i vaccini genetici, es. INO-4800, GX-19 e AG0301-COVID19, che usano un DNA per la proteina Spike, o mRNA-1273 (della ditta statunitense Moderna) e BNT162 (della Pfizer BioNTech), che usano RNA messaggero del SARS-CoV-2 che codifica la proteina Spike, incapsulato in una nanoparticella lipidica che veicola il gene nelle cellule dell’organismo umano. Il vaccino a RNA americano è arrivato alla fase 3 di sperimentazione, come dichiarato in uno studio su New England Journal of Medicine, e quello della Pfizer BioNTech, dai risultati preliminari degli studi di fase 1-2, pubblicati in pre-print (cioè senza ancora la revisione di esperti) sembra molto promettente: il vaccino ha indotto a dosi relativamente basse titoli di anticorpi neutralizzanti elevati, che sono aumentati dopo la seconda dose, e simultanea risposta linfocitaria T, con un profilo di tollerabilità buona. Approcci diversi riguardano la vaccinazione passiva col plasma dei pazienti guariti e l’iniezione di cellule dendritiche incubate per 18-24 ore con antigeni del SARS-CoV-2.
Ci sono anche delle perplessità riguardo ai vaccini anti-Covid-19. La prima è la riserva su efficacia e sicurezza di vaccini prodotti e sperimentati in così poco tempo, benché l’Agenzia europea dei medicinali (Ema) chiarisca di aver adottato tutte le procedure possibili al fine di abbreviare in modo significativo i tempi per la revisione e l’approvazione dei nuovi medicinali e vaccini a discapito della burocrazia ma mai della sicurezza. Un’ altra criticità è che la riduzione di casi nelle Nazioni in cui si stanno sviluppando e studiando i vaccini sta rallentando la possibilità di valutare la resistenza al virus dei volontari vaccinati. Per questo motivo, un gruppo di 125 scienziati appartenenti all’organizzazione ‘1 Day Sooner’, fra cui 15 premi Nobel, in una lettera aperta al capo dei National Institutes of Health degli Stati Uniti, ha avanzato una proposta ardita dal punto di vista etico, che fa discutere: infettare col Covid 19 volontari dopo il vaccino, per vedere se sono protetti (il cosiddetto “trial challenge”). Un altro aspetto negativo è la possibilità che il vaccino possa addirittura favorire il virus, in quanto è noto che la gravità del Covid-19 deriva da risposte immunitarie inappropriate ed eccessive e non si può escludere in teoria che il vaccino possa esaltare le reattività immunologica, o che anticorpi in grado di legarsi al virus ma non neutralizzanti potrebbero addirittura potenziarlo (antibody-dependent enhancement), fenomeno osservato con il SARS-Cov-1 e il MERS-CoV. Infine, gli aspetti economici: eticamente, i vaccini, quando saranno disponibili, dovrebbero essere considerati un bene pubblico globale, diritto di tutti, non privilegio di pochi, indipendentemente dal capitale dell’azienda produttrice originaria.