Enuresi notturna: come aiutare i nostri piccoli
L’enuresi notturna è un disturbo, più che una malattia, che consiste nella perdita involontaria e abbondante di urina durante il sonno, dopo i 5-6 anni (5 nella femmina e 6 nel maschio), età in cui la maggior parte dei bambini ha acquisito il controllo degli sfinteri. E’ un problema frequente, che interessa il 10-20% dei bambini, e che ha un’elevata probabilità di risolversi spontaneamente: secondo la cosiddetta “regola del 15”, l’enuresi scompare nel 15% dei bambini a 5 anni, poi raggiunge la guarigione circa il 15% dei bambini ogni anno fino a 15 anni. Dunque, non è un problema solo pediatrico: il 4,6% degli adolescenti ha ancora problemi di enuresi notturna, secondo un’indagine condotta da 75 pediatri di famiglia su un campione di 3.165 bambini tra i 5 e i 14 anni in tre Regioni italiane (Veneto, Toscana e Puglia), nell’ambito del Progetto Over realizzato dalla Società italiana di cure primarie pediatriche (Sicupp). Per la diagnosi di enuresi notturna, sono richieste almeno 2 notti bagnate alla settimana in un arco di 3 mesi consecutivi, in soggetti dopo i 5 anni di età. In base alle cause, l’enuresi si distingue in: primaria (o primitiva), secondaria (o regressiva), e sintomatica. L’enuresi è considerata primaria quando il bimbo non ha mai acquisito il controllo notturno. Rappresenta circa il 90% dei casi.
L’enuresi primaria può essere dovuta a due meccanismi, variabilmente intrecciati tra di loro da caso a caso: un ritardo di maturazione, con conseguente instabilità, del muscolo detrusore vescicale, un piccolo muscolo che funziona da valvola della vescica, per impedire all’urina di fuoriuscire verso l’esterno durante il sonno notturno; un’insufficiente produzione dell’ormone ipofisario ADH, che normalmente attraverso un ritmo di secrezione circadiano che aumenta la notte fa sì che durante il sonno venga prodotta dal rene circa la metà della quantità di urina che viene prodotta di giorno. La produzione di ormone antidiuretico comincia alla nascita, ma un livello sufficiente a controllare la diuresi nel sonno viene raggiunto con una grande variabilità individuale, geneticamente determinata. Nei bambini con enuresi il livello valutabile nel sangue al mattino di ADH è ben al di sotto dei livelli riscontrabili nei bambini che non hanno enuresi.
Fattori predisponenti all’enuresi primaria sono il sesso maschile (solo nell’infanzia, dall’adolescenza in poi non si rilevano differenze tra i due sessi), ereditarietà (l’incidenza media di enuresi, del 15 %, sale al 40-44 % se un genitore ha sofferto di enuresi e al 70-77 % se entrambi i genitori; è stato localizzato il possibile locus del gene dell’enuresi familiare, ENUR 1, in un tratto del cromosoma 13); sonno molto profondo (il soggetto enuretico presenta talvolta il cosiddetto “disturbo del risveglio”, cioè maggiore difficoltà a svegliarsi agli stimoli, compresa la distensione della vescica); nascita prematura o sottopeso.
Nelle forme secondarie, il fenomeno si ripresenta dopo che il bambino ha già raggiunto il totale controllo vescicale per almeno 6 mesi. Solitamente è collegata ad eventi emotivamente per la sicurezza del bambino, quali lutti e perdita di figure significative, malattia di una persona cara, trasferimenti, traslochi, difficoltà relazionali, spaventi, nascita di un fratellino, tensioni familiari, separazione dei genitori, inserimento a scuola o cambiamento di scuola, pressioni o richieste eccessive, problemi di rendimento scolastico, impegno eccessivo per studio, lavoro e sport, maltrattamento e abuso.
Nelle forme sintomatiche, l’enuresi compare nell’ambito del quadro sintomatologico di una malattia, come un’infezione urinaria, problemi di respirazione (es. apnea ostruttiva del sonno), obesità, costipazione (per pressione meccanica del colon disteso sulla vescica) o in casi molto più rari malattia renale, diabete mellito, epilessia, spina bifida occulta. ecc.
In base ai sintomi, si distingue invece un’enuresi monosintomatica, che si manifesta solo con il disturbo notturno, ed è dovuta di solito a ridotta produzione dell’ormone antidiuretico da parte dell’asse ipotalamo-ipofisario, con conseguente eccessiva produzione di urine durante la notte (poliuria notturna); non-monosintomatica, meno frequente, associata a disturbi urinari diurni, come lo stimolo frequente, l’urgenza minzionale, la presenza di piccole fughe di urina che bagnano le mutandine, la sensazione di non svuotare completamente la vescica, l’accovacciarsi e stringere le gambe per trattenere le urine. E’ dovuta solitamente a ritardo della maturazione vescicale che si traduce in una iperattività vescicale, con frequenti contrazioni, o a cause non fisiologiche es infezioni. Benchè l’enuresi (primaria) sia un fenomeno che si risolve, nella quasi totalità dei casi, spontaneamente, si consiglia di intervenire per permettere al bimbo di condurre una vita normale, per esempio non rinunciare ad occasioni quali campeggi, gite scolastiche, soggiorni in casa di amici o parenti, ed evitargli disagio psicologico.
La terapia può essere di tipo farmacologico o comportamentale. Tra i farmaci, il più usato è la Desmopressina (DDAVP): una sostanza di sintesi omologa dell’ormone antidiuretico, a forte azione antidiuretica, che riduce la produzione di urina da parte del rene per 7-10 ore dopo la somministrazione. In disuso lo spray nasale, viene utilizzata per lo più in forma di compresse sublinguali da 120 mcg, da assumere senza acqua, la sera all’andata a letto, dopo svuotamento della vescica. E’ indicata soprattutto nelle forme monosintomatiche. Buoni risultati nel medio termine sono segnalati in circa il 70% dei pazienti. La dose può essere aumentata fino a 240 mcg, qualora la dose minore risultasse inefficace.
Si considererano responders alla terapia coloro che hanno 6/7 notti asciutte/settimana; partial responders 6/5 notti asciutte/settimana, non responders 0/3 notti asciutte/settimana. Va limitata il più possibile l’assunzione di liquidi la sera (da almeno 1 ora prima fino a 8 ore dopo l’assunzione della compressa), per il rischio di ritenzione idrica e/o iposodiemia. In alternativa o associazione si può ricorrere al farmaco anticolinergico antispastico “ossibutinina”, che ha azione miolitica e miorilassante sul muscolo detrusore vescicale, aumentando la capacità vescicale di contenere l’urina prima di indurre lo stimolo allo svuotamento. E’ efficace nelle enuresi da instabilità vescicale, quindi non solo notturne. Il dosaggio comunemente usato è di 5 mg da una a tre volte al giorno. Gli antidepressivi (imipramina) sono molto meno usati che in passato; sembrerebbero più indicati nei “dormitori profondi” in quanto renderebbero più superficiale il livello del sonno.
Le tecniche comportamentali si basano sull’uso di un allarme notturno e la rieducazione minzionale. Il sistema di allarme si basa sul condizionamento: quando il bimbo va a dormire, viene collegato a un piccolo apparecchio a pila contenente un sensore d’umidità. Appena inizia l’emissione di urina, si ha l’attivazione di una suoneria, che sveglia il bambino. Gradualmente, il bambino viene condizionato a svegliarsi quando sente la vescica sul puto di svuotarsi. Le percentuali di guarigione sono riferite di circa il 70%, ma in assenza di risultati positivi entro 8-10 settimane, bisogna soprassedere.
La “rieducazione minzionale” è una terapia comportamentale mirata ad abituare la vescica a svuotarsi nei tempi e modi corretti. Innanzitutto va mostrato al bambino, anche con un disegno, come sono fatti e funzionano i reni e le vie urinarie, in modo che il bambino possa mentalizzare cosa accade dentro il suo corpo. E’ importante poi che il piccolo impari a svuotare completamente la vescica: deve iniziare la minzione con una piccola spinta, poi si deve rilassare e la pipì “verrà da sola”, quando la minzione è stata completata deve dare un’altra ultima piccola spinta. Per le femmine, è importante urinare a gambe ben aperte, senza mutandine o con queste ben abbassate.
Va poi insegnato al bambino a controllare il suo muscolo detrusore, esempio invitarlo a contare fino a 10 prima di iniziare a urinare quando ha lo stimolo, o a interrompere il getto una volta iniziato o a riempire sempre di più la vescica prima di correre a vuotarla.
Il bambino potrà tenere un piccolo diario in cui segnare le capacità vescicali di volta in volta raggiunte, attraverso la quantità di urina raccolta in un bicchiere graduato. Normalmente la capacità vescicale iniziale (circa 150-200 cc) viene raddoppiata nel giro di 2-3 settimane.
L’atteggiamento dei genitori ha una cruciale importanza. Non bisogna assolutamente fargli pesare una condizione di cui non ha colpa né può gestire con la sua volontà. Il bambino non va mai sgridato, punito o umiliato. E’ dimostrato che il rimprovero aggrava la situazione, mentre un atteggiamento comprensivo la migliora. Bisogna rassicurarlo sul fatto che è un problema transitorio. Nel caso che anche i genitori o altri adulti che conosce abbiano sofferto di enuresi, comunicarlo al bambino può avere per lui un effetto rassicurante che aiuta la guarigione. Premiarlo per non aver bagnato il letto si dimostra utile. Anche spronarlo a fare pipì regolarmente anche durante il giorno è utile, così come controllare che prima di andare a letto svuoti completamente la vescica. Si è dimostrato inutile farlo bere molto durante la giornata, per farlo bere poi poco la sera, così come evitare di bere tè, latte o bibite zuccherate durante la giornata.
Svegliare il bambino periodicamente nel corso della notte per farlo urinare non solo non serve a nulla, ma può essere controproducente perché tali risvegli non si realizzano quasi mai al momento” giusto”, cioè quando sta per verificarsi la minzione nel sonno, e poi generano ansia nei bambini e stanchezza, rabbia e frustrazione nei genitori. Per i bambini in età scolare, esistono in commercio delle mutandine assorbenti progettate appositamente, che vengono indossate sotto il pigiama. Benchè pratiche, alcuni studi indicherebbero che l’uso protratto delle protezioni potrebbe interferire in maniera significativa con il naturale apprendimento del controllo, soprattutto in soggetti con disabilità. Un tempo considerati primari come elemento causale dell’enuresi, gli aspetti psicologici vengono oggi visti più come “effetto” del disturbo che non come causa. L’enuresi non organica è considerata nel DSM IV (la quarta revisione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) un “disturbo comportamentale ed emozionale con esordio abituale nell’infanzia e nell’adolescenza”. Seppure con grande variabilità, in genere i bambini che ne soffrono sono molto sensibili e possono presentare difficoltà nella gestione delle loro pulsioni, in particolare dell’aggressività, o difficoltà nell’esprimere le proprie esigenze, competere e affermarsi o difendersi da eventuali conflitti con i coetanei. L’enuresi a sua volta comporta nel bambino una limitazione dei momenti sociali quali le attività che implicano il pernottamento fuori dall’ambito domestico. Sofferenza psicologica può derivare anche dal senso di vergogna provato a causa del comportamento derisorio dei coetanei e dal disgusto e incomprensione dei familiari. Negli adolescenti che presentano enuresi secondaria, solitamente il fenomeno nasconde un motivo da decifrare caso per caso, che può essere anche il bisogno di mantenere un legame con l’infanzia e comunicare la paura di crescere e diventare adulti. A volte la soluzione è semplicemente smettere di trattarli come bambini per far sì che spicchino meglio il volo.
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